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Uscito il 30 luglio su Corsera Dovrebbero chiedere a Le Xian Vi. Vietnamita, ex ufficiale di polizia, è considerato uno dei padri dei tunnel. Lui li creò nella provincia di Quang Tri all’epoca della guerra contro gli Usa. Era il 1966. Molte vite fa. Ma il problema è rimasto. Costruire le gallerie costa fatica, un lavoro di 6 mesi e denaro. Ma non è facile neppure scovarli. Lo sanno bene le unità israeliane come gli agenti anti-droga americani, alle prese con i passaggi segreti dei narcos messicani. Molti i rimedi, nessuno risolutivo. La prima volta che ho sentito parlare dei “tunnel di Gaza” era il 2000, alla vigilia dell’intifada. Ero nella striscia e un ufficiale ne discuteva come di un possibile minaccia, però non era stato in grado di mostrarmi neppure una foto. Pochi mesi dopo quella che poteva sembrare leggenda si è trasformata in realtà. Con le gallerie indispensabili, inizialmente, per far passare viveri e armi. In seguito hanno assunto un carattere offensivo. Non solo violano il blocco imposto da Israele a Gaza ma permettono alle brigate palestinesi di infiltrarsi in territorio nemico. Già nel 2001 sono “il problema”, con l’esercito israeliano che si rivolge alle università: trovate la risposta. L’Istituto di Geofisica propone una rete di sismografi collegati a una centrale. Dicono che questa barriera sotterranea funzioni ma la Difesa affida il lavoro a un paio di ditte private. E il programma non fermare le centinaia di “talpe” palestinesi. Nel dicembre 2004, i mujaheddin piazzano una gigantesca mina sotto una postazione sul confine. Un’esplosione terrificante. Vittime. Pressioni sui generali, altri test. Si va a tentoni malgrado gli scienziati sostengano di aver trovato le contromisure. E si spende molto. Compresi i 50 milioni di dollari per il Trencher, una macchina prodotta in Texas e capace di scavare trincee profonde 25 metri, la “quota” preferita dai minatori di Gaza. Il comando Sud chiede un parere a Yossy Langotsky, veterano della guerra dei sei giorni, geologo e uomo pratico. Il suo rapporto è devastante: andiamo verso la catastrofe. Quindi incoraggia l’adozione del sistema dei sismografi. Tutto però annega nell’irresponsabilità dello Stato maggiore e nella burocrazia militare. La doppia tenaglia impedisce di andare avanti mentre i palestinesi sviluppano il loro network nelle viscere della terra con l’aiuto degli Hezbollah libanesi e tenendo a mente le esperienze dei nord coreani hanno elaborato gallerie gigantesche per invadere il Sud. Gli israeliani provano un apparato della Nasa che rileva variazioni della gravità e un altro pensato per localizzare giacimenti di gas. Di nuovo, i report del Genio militare non paiono soddisfacenti. Delusione che si somma alla preoccupazione che Hamas e altre fazioni lancino azioni a sorpresa contro i kibbutz oppure per catturare soldati. Il caso di Gilad Shalit, il soldato rapito nel 2006 e poi scambiato con un migliaio di detenuti palestinesi, dimostra il valore strategico delle gallerie. Un episodio che accompagna la previsione nera formulata dalla difesa nel 2010. Tutte le postazioni “sedute” sulla linea che circonda Gaza e gli insediamenti civili in territorio israeliano – avvertono - sono a rischio. Il colonnello Ilan Sabag aggiunge: “Sappiamo che esistono i tunnel, ma il problema è individuarli”. Se la tecnologia non basta ci si affida a due armi. L’intelligence, con un informatore che segnala l’ingresso. O semplicemente “la fortuna”. Incerta come un orecchio appoggiato sul terreno. Guido Olimpio