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Da dove cominciare?

Allora, lascio perdere il mainstream, tanto gira e rigira so' cose che si sono viste in qualche modo. Mi limito a un po' di roba fuori dall'ordinario e dai circuiti tradizionali, cose diverse che mi hanno divertito, spiazzato, depresso, ecc.

Facciamo un po' il giro del mondo e partiamo ovviamente (perché?! Boh) dall'Ammerega.

 

Due film molto diversi di un mezzo matto, Jim Cummings (origine come al solito dal SNL), che le scrive, dirige ed interpreta, e che mi hanno un po’ spiazzato/divertito. Thunder Road, provincia americana, paesino, poliziotto alle prese con la morte della madre, la separazione dalla moglie e una figlia che non riesce a comprendere. Ci sono tutti gli elementi per la tragedia e la depressione, ma in realtà è lo sforzo di una persona “normale” (anche non del tutto sveglissima) nel far fronte a certe difficoltà della vita, raccontato con molta ironia anche se un fondo di tristezza, occhio poi alla tramvata finale.

L’altro invece è The Wolf of Snow Hollow, cosa completamente diversa (anche se pure qui il poliziotto scemo fa la sua parte), una horcom con delle trovate abbastanza divertenti in un paesino di casi (dis)umani.

 

Greener Grass, scritto diretto e interpretato da due tizie all'esordio, è una cosa stramba che la metà abbasta. Totalmente surreale (bambino che si butta in piscina e ne riesce trasformato in cane, per dire, ma l’incipit con il regalo di una neonata già fa capire da che parte si dirige), gioca sulla costruzione dei rapporti interpersonali e tra nuclei famigliari in un ridente sobborgo ammeregano, mettendo in luce (e soprattutto colore: interessante l’uso che se ne fa per delimitare momenti e sviluppi della trama) falsità e stereotipi.

 

Ma Rainey’s Black Bottom, molto teatrale, tratto da una pièce e si vede chiaramente nella mise en scène limitata a pochi ambienti, parte raccontando i conflitti all’interno di una piccola band che deve incidere un disco con una cantante abbastanza celebre all’epoca (e realmente esistita), tensioni che nascono dalle diverse opinioni sul futuro figlie del gap generazionale tra i diversi componenti, ed arriva a comprendere testimonianze sul razzismo (e come i diversi interpreti si pongono di fronte al problema, ancora una volta per le età differenti) e il rapporto con il potere (c’è sempre uno più negro di te, insomma). È l’ultimo film interpretato da Chadwick Boseman.

 

Ari Aster qualche anno fa aveva fatto un discreto horror, Hereditary, con alcune scene indubbiamente indimenticabili (la morte della bambina in crisi asmatica decapitata dall'albero mentre si sporge dalla macchina in cerca d'aria è potente, ma il seguito con il fratello alla guida che scioccato parcheggia l'auto in garage e se ne torna a dormire è letteralmente devastante). Adesso alza l'asticella con Midsommar (questo è un po' mainstream, ma in parecchi non l'hanno visto, quindi ce l'aggiungo), dove un gruppo di ragazzi parte per seguire una tradizionale cerimonia della famiglia di uno di loro in Svezia.

All'inizio sembrano un po' come la comune di Un sacco bello, ma ci si mette un attimo a capire che làv làv làv, un cazzo. 

 

Ok, con l'aiuto della simpatica combriccola alla ricerca della spada de fòco, abbiamo saltato l'oceano e siamo arrivati dalle parti nostre. Più o meno vabbe'.

His House è un horror, se vogliamo. Due profughi sudanesi sfuggiti agli orrori della guerra riparano in Inghilterra, ma dopo aver ottenuto un alloggio dalle istituzioni il marito inizia ad avere visioni legate alla loro origine. La loro esistenza è già difficile, emarginati, senza lavoro, con un’integrazione praticamente impossibile, mettici pure le visioni e lo stregone che vuole mangiarti, checcazzo… Ma è solo un modo per raccontare una storia e per capire quanto si sia disposti a fare per sopravvivere. Ed è lì che c’è l’orrore vero.

 

Spostiamoci al di là dell'adriatico con Honeyland, una docu-fiction le cui riprese sono durate tre anni che racconta la vera storia di una “cacciatrice” di miele in uno sperduto ed abbandonato villaggio sulle montagne macedoni, dove ‘sta tizia vive in totale solitudine assieme alla madre anziana e malata, finché non arriva un tale con moglie più una carovana di figli (sette, ma l’ho capito solo dai titoli di coda, perché non stavano un attimo fermi per poterli contare e crescevano in continuazione – in numero ed età – rendendone difficile anche il riconoscimento) che cercando di sbarcare il lunario agiscono come le cavallette mettendo a rischio un delicatissimo ecosistema.

 

Continuiamo verso est e scendiamo fino in Libano, dove Nadine Labaki gira un film potentissimo, Capernaum, storia di un bambino che denuncia i genitori per averlo messo al mondo. Una storia devastante, in cui si incrociano miserie e tradizioni abominevoli, in cui l'unico a sembrare umano è proprio il dodicenne che riesce a regalarci un briciolo di speranza.

 

Facciamo un salto e andiamo in Russia (e Paesi limitrofi).

Loveless racconta di una famiglia in crisi e ormai separata che affronta un divorzio brutale fottendosene del destino del figlio: a quanto pare non gliene frega un cazzo a nessuno, almeno finché non scompare.

 

Poi c’è Durak, che pone un idraulico/manutentore di un palazzo a rischio crollo di fronte alla corruzione di una città e, per riflesso, di un intero sistema politico e sociale, tutto nel corso di una notte, tra feste e cene di politici corrotti e tutta la catena di potere che ne deriva.

 

E se mi dici corruzione, come faccio a dimenticare Donbass? Come recita il nome, siamo al conflitto tra Ucraina e Repubblica popolare di Doneck (supportata dalla Russia) nel decennio scorso. Diviso in 13 episodi a loro modo concatenati traccia un affresco corale delle popolazioni colpite e del loro rapporto con la guerra, le autorità, la sopravvivenza.

 

Un russo per tirarci un po' su il morale, prima dell'affondo definitivo, è quella tarantinata di Why Don't You Just Die?… E insomma, c'è 'sta tipa che dice al tipo, senti, ammazza mi' padre che da ragazzina mi ha [CENSURA] e poi [CENSURA] e anche [CENSURA] no, ma che davéro?, evvabbe', il tipo si presenta dal suocero, tra l'altro ex poliziotto, e lì parte una carrellata di scene grottesche, tra trapanamenti nella vasca da bagno, soldi che spuntano all'improvviso, vecchi sodali paterni corrotti, impiccagioni, fucilate, badilate, ma che sotto tutto questo racconta anche in forma di parodia qualche mala abitudine della solita Russia. Molto divertente anche se al confine con lo splatter, quasi.

 

Ma soprattutto, se siamo in Russia, parliamo di Kantemir Balagov. Questo aveva già sparigliato le carte con Tesnota, in cui una famiglia ebrea assiste al rapimento del figlio e della di lui fidanzata alla vigilia delle nozze, un modo come un altro per fare dei soldi in uno scenario di povertà e depressione come pochi. La famiglia farà di tutto per raccogliere i soldi e l’incaricata al pagamento sarà la sorella minore, della quale il film ci racconta uno spaccato esistenziale.

Ma poi si è superato con Dylda, dove una ragazzona alta e con qualche problema di disabilità vive in una specie di comune in un antico palazzo ormai fatiscente di Leningrado, accudendo un bambino che è figlio della sua migliore amica, che ancora combatte al fronte (siamo sul finire della seconda guerra mondiale). Accadrà qualcosa di spiacevole.

 

In ambito seconda guerra, facciamo un passettino indietro fino in Germania e troviamo Der Hauptmann, film che ha già qualche anno e che trae spunto da una vicenda realmente accaduta per raccontare il delirio di un soldato tedesco al termine del conflitto, una discesa agli inferi in uno dei momenti più bui dell’umanità.

 

Ma al peggio non c’è mai fine e, per rimanere in tema WWII, raddoppio con The Painted Bird, la personale via crucis di un bambino rimasto solo durante il conflitto, duplice vittima dei soldati di qualsiasi bandiera e delle persone che incontra nel suo calvario, in una progressiva asportazione a brandelli dell'anima.

 

Subito dopo la guerra invece arriviamo in Polonia, dove due persone attraverseranno il periodo della guerra fredda cercandosi, sfiorandosi, lasciandosi e ritrovandosi durante tre pericolosissimi lustri tra Parigi, Berlino Est, la Jugoslavia e la Polonia, con finale dalla classica badilata sulle gengive. Cold War è un film di Paweł Pawlikowski, che già con Ida (Oscar 2015) aveva tratteggiato le vicende della Polonia post bellica.

 

E sempre in Polonia è ambientato Corpus Christi, dove un ragazzo sogna di diventare sacerdote. Beh, certo, se poi stai al riformatorio per omicidio è un po' difficile, ma le occasioni, come si dice, fanno l'uomo ladro. E durante una delle giornate di lavoro da detenuto, scappa e finge di essere un prete in un paesino nei dintorni. Poi il prete vero se sente male e lui ne prende il posto. A raccontarla così farebbe anche ridere, ma tranquilli, non vi capiterà di farlo.

 

OK, di Russia & Guerre & Co. ne abbiamo abbastanza, iniziamo ad andare più ad est (almeno cinematograficamente parlando, come se la Russia non ci arrivasse, ad est…).

Non sono un appassionato di Bollywood, già me stanno sul cazzo i musical e la gente che balla, figuriamoci metterli assieme. E poi troppo lunghi, troppo colorati e troppo tradizionali di tradizioni che non conosco, insomma, non è la mia tazzina di besciamella. Però ogni tanto qualcosa mi capita, e ultimamente ne ho visti un po’ di carucci.

In ordine sparso ci metto The White Tiger, dove un ragazzo di un paesino trova il modo per ingraziarsi il rajah del luogo (che da quelle parti ci va solo in visita) e di finire al suo servizio come autista del figlio quasi coetaneo con cui scatta un’amicizia quasi fraterna. Ma un servo resta sempre un servo, e quando accade qualcosa di grave gli ricordano il suo ruolo. E lì iniziano i problemi.

 

Ludo invece è un mezzo casino, parte con la lotta tra il bene e il male rappresentata da due entità che iniziano a giocare con le vite di quattro gruppi di persone. È molto divertente la confusione che si crea nell’intreccio dei rapporti, sparano, ammazzano, amano, litigano, imbrogliano, cantano (ecco, sì, però c'è una canzone talmente coatta che dopo 10 minuti la canti a squarciagola), insomma, ci si diverte!

 

Terzo e ultimo Andadhun, un pianista cieco assiste ad un omicidio e sarà l'unico testimone auricolare… Sicuro?! Vabe', altra commedia di persone equivoche, abbastanza divertente anche se ogni tanto qui cantano, ma il minimo essenziale, però almeno ci siamo risollevati da quel pessimismo tragico di stampo sovietico.

 

Via, altro aereo e arriviamo in Corea, da dove ogni tot arriva una bella sorpresa.

Beasts Clawing at Straws se l’avesse firmato Tarantino ne parleremmo come di un (quasi) capolavoro. Esagerato, nichilista, grottesco, violento, sanguinario ma con stile, intreccia le vite di quattro personaggi (e relativi nuclei famigliari) attorno ad un borsone pieno di soldi, in un continuo colpo di scena.

 

A Taxi Driver invece è tratto da una storia vera. Siamo in Corea del Sud nel 1980, un giornalista tedesco vuole andare a Gwangju, dove la rivolta popolare e studentesca contro la dittatura dell'epoca aveva assunto i contorni di una vera e propria insurrezione. Per arrivarci ingaggia un tassista, che in realtà è un mezzo abusivo che frega il cliente ad un regolare. Vedovo, con una figlia piccola, uno stupidotto infarcito di slogan dittatoriali, sempre in aperta polemica con il giornalista e con le persone che incrociano nel viaggio, accompagnerà il reporter in una piccola odissea che vedrà il suo termine in quello che è conosciuto come il massacro di Gwangju, il cui numero di vittime non è stato mai accertato (alcuni parlano di migliaia di persone). Finale a suo modo lacerante.

Lee Chang-dong è un regista non eccessivamente prolifico (con perfino un breve passato di ministro della cultura) ma ogni colpo è 'na tacca: Oasis, Poetry e Secret Sunshine so' dei filmoni, ma Burning per me è un capolavoro.

Tratto da Murakami (che mi stucca la minchia), narra la storia di un ragazzo che casualmente incontra una sua vicina di casa di quando erano bambini e iniziano a frequentarsi. Poi un giorno lei parte e tempo dopo torna con un altro tipo, un fighetta molto ricco e abbastanza misterioso. Da lì in poi sarà antagonismo amoroso, lotta di classe, sparizioni fino a sfociare in una spirale di violenza catartica. 

 

Saliamo un attimo e andiamo in Cina, ammazza che giro…

Ash is Purest White è la Filumena Marturano cinese. Donna del gangster locale, sacrifica sé stessa per parare il culo al tipo, che la manda in galera e ciaone. Siamo all'inizio degli anni '00 e seguiamo le vicende della coppia per quasi un ventennio, assistendo alla trasformazione (letteralmente) del suolo cinese e all'evoluzione sociale in continuo confronto con le tradizioni millenarie.

 

E qui ci facciamo la doppietta di Bi Gan, ovvero Kaili Blues, un film che è ricerca e destrutturalismo, con un piano sequenza fenomenale che smonta il tempo diegetico  e lo disallinea da quello reale, un paradosso tecnico che è poesia pura. E subito dopo tocca vede' Long Day's Journey into Night, dove un funerale è l'occasione di un ritorno alla ricerca del tempo perduto, abbastanza doloroso. 

 

Chiudiamo la parentesi cinese con Behemoth, un documentario praticamente muto che è un viaggio all'inferno nel territorio mongolo, visivamente una delle cose più potenti degli ultimi anni, dove una sorta di paradiso viene devastato da una miniera e dalle sue attività, che attrarranno e condanneranno le migliaia di persone che in quelle zone vivevano un'esistenza antica, con l'unico miraggio di una città che rimarrà vuota. Insomma, se non ve siete sparati fino a mo', è arrivato il momento di carica' la pistola.

 

Che famo? Scavallamo il Pacifico e tornamo nel nuovo mondo? Sì, ma lungo il salto fermiamoci in Tasmania, per seguire un revenge movie al femminile veramente brutale, The Nightingale. Stupri, omicidi, ragazzini ammazzati e una donna che attraversa il paese per vendicarsi dello sterminio della propria famiglia, con l'unica compagnia di un aborigeno e della propria rabbia.

 

Ok, siamo tornati al punto di partenza, ma nell'America del Sud.

Siamo in Colombia, fine anni '60, la nascita di quello che diverrà l'impero dei narcos. Un'epopea che segue l'evoluzione di antiche famiglie tribali da contadini a coltivatori di marijuana e la nascita di una classe criminale, con la cancellazione di abitudini, riti e usanze ancestrali che sfocerà in una guerra fratricida. Birds of Passage. Veramente un cazzo de filmone.

 

E qualche anno prima, Ciro Guerra e Cristina Gallego, i due registi, avevano realizzato El abrazo de la serpiente, una storia che affonda le sue radici all'inizio del secolo scorso e segue le vicende di uno sciamano in due periodi storici differenti, ispirate dai diari di due scienziati recatisi in Amazzonia alla ricerca di una pianta mistica, il tutto in un bianco e nero meraviglioso.

 

Sempre in Colombia è ambientato Monos, film che è un'ulteriore rappresentazione del Signore delle Mosche, con dei ragazzini che sulle montagne tengono sotto sequestro un'americana (il cui ruolo non sarà mai chiaro, ma è ininfluente ai fini del film) agli ordini di una fantomatica Organizzazione. Presto i conflitti interni degenereranno sfaldando il gruppo, che si dividerà in vittime e carnefici e prenderà la fuga verso la giungla in un repentino cambio di scena che metaforicamente rappresenta anche l'evoluzione della guerriglia colombiana.

 

Basta Colombia, trasferiamoci in Brasile.

Un'anziana matriarca di un piccolo paesino muore e arriva pure l'UFO. O come cazzo si chiamano adesso.

Pare una stronzata, effettivamente, ma Bacurau è veramente brasileiro (e gli UFO non sono in realtà tali), in una sospensione di misticismo che solo un'adeguata raffica di mitra può spazzare. Quando iniziano a spuntare cadaveri pieni di piombo le cose assumono contorni difficilmente definibili, tra la guerra ad un politico locale per il controllo dell'acqua, difesa da un gruppo di ribelli, e una caccia all'uomo da parte di un gruppo di killer che ha la missione di cancellare il paesino da tutte le mappe. 

 

Altro saltino laterale ed atterriamo in Cile, dove La casa lobo, un bellissimo film in stop motion (ma qui siamo più sull'opera d'arte visiva) narra la storia poco conosciuta di una sorta di comunità creata negli anni '60 da un tedesco, classico luogo anacronistico (vestivano in tirolese) dove si ricercava la pace e la tranquillità (la solita utopia) e dove, ovviamente, si celava il lupo rappresentato dal regime dittatoriale di Pinochet. Un modo per raccontare un paese dentro un Paese, ma soprattutto una storia dentro una Storia.