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SENTENZA N. 140. ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 83, commi 4 e 9, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, promossi complessivamente dal Tribunale ordinario di Paola con ordinanza del 16 luglio 2020, dal Tribunale ordinario di Spoleto con ordinanza del 27 maggio 2020, dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanza del 18 giugno 2020 e dal Tribunale ordinario di Crotone con ordinanza del 19 giugno 2020, ordinanze iscritte, rispettivamente, ai numeri 133, 152, 159 e 165 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 40, 45, 47 e 49 prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti l’atto di costituzione di P. G., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2021 e nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 (anticipata al giorno precedente) il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Franco Rossi Galante e Paola Boccardi per P. G. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 16 luglio 2020, iscritta al r.o. n. 133 del 2020, il Tribunale ordinario di Paola ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, commi 4 e 9, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27.

Il rimettente censura innanzi tutto l’art. 83, comma 4, del d.l. citato, nella parte in cui prevede che il corso della prescrizione dei reati commessi prima del 9 marzo 2020 rimanga sospeso, per un periodo di tempo pari a quello in cui sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti penali.

Censura, altresì, l’art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020, nella parte in cui prevede che il corso della prescrizione dei reati commessi prima del 9 marzo 2020 rimanga sospeso per un periodo di tempo pari a quello in cui il procedimento è rinviato sulla base delle misure organizzative adottate dai capi degli uffici giudiziari ai sensi del precedente comma 7, e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020.

Il giudice a quo riferisce di procedere nei confronti di P. G., R. M. G., G. M., R. A. R. e C. F., imputati del delitto di cui agli artt. 113 e 589 del codice penale consumatosi il 19 maggio 2012 in danno di V. G., nell’esercizio della professione medica.

In via preliminare, il rimettente rileva che la disciplina prevista ai commi 1 e 2 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, ruota attorno a un duplice asse: da una parte, la necessità di sospendere tutte le attività processuali allo scopo di ridurre al minimo le forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia; dall’altra, l’esigenza di neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali disposto al comma 1 avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali.

In particolare, il comma 4 del citato art. 83 prevede che «[n]ei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2» è altresì sospeso, «per lo stesso periodo, il corso della prescrizione». Con tale norma il legislatore ha istituito uno stretto legame tra la sospensione dei termini processuali e la sospensione del corso della prescrizione, ancorando quest’ultima alla prima, sia per quel che concerne i presupposti applicativi, sia per quel che riguarda l’estensione temporale.

Pertanto, laddove siano sospesi i termini per il compimento di qualsiasi attività processuale, è parimenti sospeso il corso della prescrizione, per un periodo di tempo, sempre fisso e prestabilito, che intercorre tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020, pari a complessivi sessantaquattro giorni.

A tale sospensione deve poi essere aggiunta quella prevista dall’art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020. Tale disposizione, parimenti censurata dal giudice rimettente, prevede che nei procedimenti penali il corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), dello stesso articolo, e, in ogni caso, non oltre un termine massimo, originariamente individuato nel 30 giugno 2020, poi differito al 31 luglio 2020, ed, infine, nuovamente fissato al 30 giugno 2020, per effetto dell’abrogazione della disposizione che tale differimento aveva previsto (legge 25 giugno 2020, n. 70, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19»).

In particolare, il suddetto comma 7, lettera g), indica, tra le misure organizzative adottabili dai capi degli uffici giudiziari, per contrastare l’emergenza epidemiologica per il periodo dal 12 maggio al 30 giugno 2020, la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al precedente comma 3. 

Con riguardo alla non manifesta infondatezza, in riferimento all’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, il rimettente ritiene di condividere – richiamandole testualmente – le argomentazioni espresse dal Tribunale ordinario di Crotone nell’ordinanza del 19 giugno 2020, iscritta al r.o. n. 165 del 2020, con cui è stata sollevata analoga questione di legittimità costituzionale.

Con riguardo, poi, alla questione di costituzionalità dell’art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020, il rimettente richiama le considerazioni svolte relativamente all’art. 83, comma 4, del medesimo d.l., in merito alla violazione degli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 7 CEDU.

Con specifico riferimento alla violazione del parametro costituzionale dell’art. 3 Cost., afferma inoltre che la norma censurata determina disparità di trattamento sul territorio nazionale, conseguente all’adozione, soltanto eventuale, di misure organizzative volte al rinvio dei procedimenti da parte dei capi dei singoli uffici giudiziari; in tal modo la sospensione della prescrizione sarebbe rimessa alla discrezionalità degli stessi e dei giudici che debbano adeguarsi ai detti provvedimenti organizzativi.

1.2.– Con atto del 20 ottobre 2020, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto alla Corte di dichiarare le questioni non fondate.

In particolare, la difesa statale rileva che non appare censurabile la disposizione di cui all’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, poiché è giustificata dal rinvio dei termini processuali e delle udienze che, a causa della pandemia da COVID-19, ha comportato la sostanziale paralisi di fatto dei procedimenti penali.

Si tratterebbe, infatti, di una causa di sospensione che è stata introdotta da una legge eccezionale e temporanea da applicarsi ai procedimenti penali in corso, forzatamente sospesi, e, in quanto tale, necessariamente con efficacia retroattiva.

La difesa dello Stato ritiene, altresì, infondato il dubbio di illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, del d.l. n 18 del 2020, in quanto le disparità di trattamento, asseritamente derivanti dall’esercizio del potere di rinvio delle udienze riconosciuto ai capi degli uffici giudiziari dall’art. 83, comma 7, lettera g), del d.l. n. 18 del 2020, sono funzionali al perseguimento della finalità, della cui ragionevolezza non è lecito dubitare, di approntamento di uno strumento flessibile di controllo permanente circa la parziale ripresa, in condizioni di relativa sicurezza, delle attività processuali.

1.3.– Con atto depositato il 14 ottobre 2020, si è costituita in giudizio P. G., imputata nel giudizio principale, che ha chiesto a questa Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.

Rileva che l’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, introdotto nel contesto emergenziale, incide sul regime della prescrizione, modificandone la disciplina retroattivamente, in quanto si introduce un’ipotesi di sua sospensione (ex se pregiudizievole per l’imputato) ulteriore per fatti commessi anche prima dell’entrata in vigore della norma, in contrasto, attesa la natura sostanziale della prescrizione, con il principio di legalità e, nello specifico, di quello dell’irretroattività della legge penale, garantito dall’art. 25, secondo comma, Cost. e dall’art. 7 CEDU.

Quanto alla questione relativa al comma 9 dello stesso art. 83, nell’atto di costituzione si afferma che tale disposizione presenta profili di illegittimità costituzionale analoghi e anche ulteriori rispetto a quelli argomentati con riferimento al precedente comma 4, non essendo la fattispecie riconducibile all’art. 159 cod. pen. perché non sarebbe ravvisabile alcuna ipotesi di sospensione del processo prevista dalla legge, ma solo un discrezionale rinvio d’ufficio del processo.

La norma, inoltre, mostrerebbe ulteriori aspetti critici per la irragionevole ed illogica discrezionalità lasciata ai singoli capi degli uffici giudiziari ed ai singoli giudici circa la possibilità di rinviare d’ufficio le udienze con sospensione della prescrizione addirittura fino al 30 giugno 2020.

La norma censurata, oltre ad incidere retroattivamente sul regime della prescrizione, affida ai capi degli uffici giudiziari e, poi, ai singoli giudici, la possibilità di rinviare, arbitrariamente e in maniera disomogenea sia su base nazionale, sia nell’ambito del medesimo ufficio giudiziario, per ragioni meramente organizzative, le udienze, con contestuale sospensione del decorso del termine di prescrizione.

Con memoria depositata in data 9 aprile 2021, la difesa di P. G., in considerazione della intervenuta sentenza n. 278 del 2020 di questa Corte, insiste in particolare nell’affermare la fondatezza delle censure del giudice rimettente con riferimento al comma 9 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020.

2.– Con ordinanza del 27 maggio 2020, iscritta al r.o. n. 152 del 2020, il Tribunale ordinario di Spoleto ha sollevato, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU, questioni di legittimità costituzionale, dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020, come modificato dall’art. 36 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali) convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40.

Le questioni di legittimità costituzionale sarebbero, pertanto, rilevanti poiché la nuova ipotesi di sospensione della prescrizione costituisce l’unico ostacolo, nel giudizio a quo, alla possibilità di emettere una sentenza di non doversi procedere ex art. 129 del codice di procedura penale, considerata l’assenza dei presupposti per l’emissione di una sentenza di immediato proscioglimento nel merito.

In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene il contrasto della disposizione censurata con gli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU.

La formulazione della disposizione è tale da dovere essere intesa nel senso che la sospensione operi per tutti i procedimenti penali pendenti e quindi anche per quelli, come quello in esame, che non hanno subito un rinvio d’ufficio, ai sensi del comma 1 dell’art. 83, o che hanno ad oggetto fatti di reato commessi anteriormente all’entrata in vigore del d.l. n. 18 del 2020.

Il rimettente, nel richiamare in particolare la sentenza n. 32 del 2020 di questa Corte, afferma che, in mancanza di una preesistente normativa, la nuova ipotesi di sospensione dei procedimenti e dei termini per il compimento di atti processuali, a differenza di quelle disciplinate dall’art. 159 cod. pen., non era prevedibile e quindi non può avere efficacia retroattiva in malam partem.

Sussiste quindi la violazione del principio di legalità, recato dal parametro interno al pari di quello convenzionale.

2.1.– Con atto depositato il 24 novembre 2020, è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione manifestamente infondata.

Dopo aver precisato che la disposizione censurata introduce una vera e propria sospensione dei procedimenti penali, atteso che in ciò si traduce la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, la difesa statale afferma che non v’è dubbio, visto il tenore della previsione censurata, che la sospensione della prescrizione operi anche con riferimento ai reati commessi in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge in parola.

La difesa statale osserva che non vi sono ragioni per escludere che la previsione legale della sospensione del procedimento, richiamata dall’art. 159 cod. pen., sia anche quella introdotta dopo la commissione del fatto, per far fronte a circostanze eccezionali e imprevedibili, tra cui l’emergenza sanitaria in corso, che impediscano forzatamente il regolare svolgimento dell’attività giudiziaria. E ciò non comporterebbe alcuna violazione del principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.

La legge vigente al tempo del fatto, ossia l’art. 159 cod. pen., già prevedeva la possibilità di una sospensione del corso della prescrizione nell’eventualità in cui una disposizione di legge, come l’art. 83, comma 4, del d.1. n. 18 del 2020, stabilisse la sospensione del procedimento.

Infine, la circoscritta operatività dell’indicata sospensione ad un arco temporale ristretto deporrebbe per l’assoluta ragionevolezza e proporzionalità della disciplina.

3.– Con ordinanza del 18 giugno 2020, iscritta al r.o. n. 159 del 2020, il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato, in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2020, nonché del successivo comma 9 dello stesso art. 83, nella parte in cui prevede una causa di sospensione della prescrizione sulla base di un provvedimento giudiziario autorizzato da un provvedimento organizzativo del capo dell’ufficio giudiziario. Quest’ultima disposizione è stata anche censurata, in via subordinata, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, in quanto ricollega la sospensione della prescrizione al mero provvedimento di rinvio, anziché alla sospensione del processo sino alla data di rinvio.

3.1.‒ In punto di rilevanza, il giudice a quo riferisce di procedere nei confronti di B. A. per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., commesso il 30 marzo 2010 e che, in mancanza del periodo di sospensione introdotto dalla norma censurata, i termini massimi di prescrizione del reato sarebbero decorsi il 30 maggio 2020.

Il giudice rimettente rileva, tuttavia, che dal 9 marzo al 12 maggio 2020, il corso della prescrizione è stato sospeso ai sensi del comma 4 dell’art. 83 citato, e, inoltre, riferisce che in data 20 aprile 2020 il Presidente del Tribunale ha adottato il provvedimento organizzativo con il quale è stato altresì previsto il rinvio, oltre il 31 luglio 2020, di tutti i processi non rientranti tra quelli per i quali è stata ritenuta possibile la trattazione e con sospensione dei termini di prescrizione, ai sensi del comma 9 dello stesso art. 83, sino al 30 giugno 2020 (essendo venuta meno l’indicazione nel 31 luglio 2020 del dies ad quem della sospensione).

Pertanto, in virtù dell’applicazione delle due cause di sospensione della prescrizione (quella prevista dal comma 4 dell’art. 83 e quella contemplata dal successivo comma 9), il rimettente rileva che è preclusa una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, che invece si imporrebbe in assenza di tali due disposizioni, della cui legittimità egli dubita.

Inoltre, il giudice a quo riferisce di non poter pervenire ad una pronuncia favorevole all’imputato sulla base delle evidenze processuali sinora emerse dall’istruttoria dibattimentale, di cui dà conto.

3.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente si sofferma sul principio di irretroattività delle norme penali di sfavore e della sua incidenza sull’istituto della prescrizione del reato.

Dopo aver precisato che la ratio dell’istituto è quella di stabilire un limite temporale massimo alla punibilità del reato, sì da assicurare al reo il cosiddetto diritto all’oblio, rileva che le norme che disciplinano i termini di prescrizione del reato rientrano nell’alveo del principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., che comporta la tassatività e la precisione della norma penale e la sua non retroattività in mala partem.

Il rimettente richiama, in particolare, l’orientamento della Corte EDU secondo cui l’istituto della prescrizione e le norme che ne regolano il funzionamento hanno natura processuale e come tali non sono soggette al principio di irretroattività della legge penale, mentre secondo il consolidato orientamento di questa Corte la prescrizione del reato, afferendo alla punibilità dello stesso, è istituto di diritto penale sostanziale, e pertanto soggetto all’inderogabile principio di irretroattività.

Inoltre, nel condividere la natura sostanziale della prescrizione, osserva che se, da un lato, non si può dubitare che la definizione in termini chiari ed inequivoci del tempo necessario perché il reato si estingua per prescrizione debba essere soggetta allo statuto di garanzia proprio della norma penale incriminatrice, d’altro canto l’istituto della sospensione della prescrizione è piuttosto correlato alle vicende del processo penale.

In particolare, il rimettente osserva – in riferimento alla seconda disposizione censurata (comma 9 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020) – che, dopo la previsione della sospensione di tutta l’attività giudiziaria prevista dall’art. 83, commi 1 e 2, il comma 6 del medesimo articolo ha previsto il potere-dovere dei capi degli uffici giudiziari di adottare misure organizzative, «anche relative alla trattazione degli affari», al fine di contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria per il periodo compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020 (essendo venuto meno il differimento al 31 luglio 2020).

Il successivo comma 7 ha espressamente previsto, tra le misure organizzative che devono essere adottate dai capi degli uffici giudiziari, la possibilità di prevedere il rinvio delle udienze, a data successiva al 30 giugno 2020, nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni di cui al comma 3.

Al riguardo il giudice a quo osserva che la norma censurata (comma 9 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020) si pone in irrimediabile contrasto con i principi di riserva di legge, di tassatività e di determinatezza della norma penale nella misura in cui àncora la sospensione del corso della prescrizione ad una disposizione (eventuale) contenuta nei plurimi e differenziati provvedimenti organizzativi dei capi degli uffici giudiziari, sulla scorta dei quali il singolo giudice è legittimato a rinviare alcuni procedimenti oltre la data del 30 giugno 2020.

Il rimettente ritiene che la possibilità di trattazione in udienza di tutti i procedimenti già pendenti nell’arco temporale compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno, ovvero l’individuazione della data di rinvio oltre il 30 giugno 2020, sono circostanze legate ad una serie di fattori contingenti al singolo ufficio giudiziario (quali le dimensioni degli uffici e il connesso carico di lavoro, la logistica dell’edilizia giudiziaria che possa più o meno consentire il rispetto delle norme di distanziamento sociale, il carico di ruolo del singolo ufficio giudicante, nonché la stessa differente manifestazione dell’epidemia da COVID-19 sul territorio nazionale), con inevitabile discrezionalità del singolo capo dell’ufficio giudiziario ovvero del singolo giudice: il provvedimento di rinvio del processo, ancorché legittimo, sconterà pur sempre un inevitabile tasso di discrezionalità per la situazione particolare del singolo ufficio.

Tale differente trattamento, ad avviso del giudice a quo, se in astratto può sottrarsi alla censura di irragionevolezza, potendo ritenersi ragionevole una differente gestione dell’emergenza da parte dei singoli uffici giudiziari, in alcun modo può valere quale deroga al principio di tassatività e determinatezza della norma penale. Tale principio – secondo il giudice rimettente – sarebbe violato in quanto i processi da rinviare non sono previsti in modo preciso e tassativo per l’inevitabile incidenza di ragioni organizzative in relazione ai differenti uffici e al carico di ruolo del singolo magistrato giudicante.

Inoltre, la previsione della sospensione della prescrizione di cui al censurato comma 9 dell’art. 83, diversamente da quanto previsto dal precedente comma 4, non sarebbe peraltro neppure legata, almeno espressamente, ad alcuna ipotesi di sospensione del processo.

3.3.– Con atto depositato il 9 dicembre del 2020, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura, chiedendo a questa Corte di dichiarare le questioni non fondate.

In primo luogo, si evidenzia che le questioni debbano essere dichiarate non fondate essendo nel frattempo intervenuta la sentenza n. 278 del 2020 di questa Corte.

Per quanto concerne l’art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020, l’interveniente richiama la sentenza della Corte di cassazione, sezione quinta penale, 14 settembre-9 novembre 2020, n. 31269, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale non solo del comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, ma anche del successivo comma 9. In particolare, la difesa statale osserva che il potere organizzativo dei capi degli uffici trova fondamento in una fonte primaria, che vi riconnette una sospensione del processo riconducibile alla norma generale prevista dall’art. 159, primo comma, cod. pen.

In altri termini, ad avviso della difesa statale, il comma 7, lettera g), dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, ha rimesso ai capi degli uffici la ponderazione del grado di sicurezza per la salute pubblica, rispetto alla ripresa dell’attività giudiziaria e, in caso di perdurante rischio epidemiologico, ha previsto l’ultrattività del regime di rinvio dei procedimenti penali e della connessa sospensione della prescrizione, come prevista per la prima fase dal comma 4 del medesimo articolo. La sospensione della prescrizione censurata troverebbe la sua fonte nella legge e vede nel provvedimento dei dirigenti degli uffici la condizione per l’ulteriore estensione temporale degli istituti emergenziali.

4.– Con ordinanza del 19 giugno 2020, iscritta al n. 165 r.o. del 2020, il Tribunale ordinario di Crotone, ha sollevato, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2020.

Il rimettente riferisce di procedere nei confronti di B. S. e P. G., imputati del delitto di cui agli artt. 56, 81, 110 e 629 cod. pen., commessi tra l’estate del 2010 e il novembre del 2011, e, in punto di rilevanza, afferma che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale dell’indicato art. 83, comma 4.

In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva che il legislatore ha previsto un’ipotesi di sospensione della prescrizione avente una particolare efficacia retroattiva, in quanto applicabile anche a tutti i fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Il rimettente, dopo essersi soffermato sulla natura sostanziale della prescrizione, ma in ogni caso riconoscendone una natura ibrida, per le vicende processuali connesse al suo decorso, rileva che questa causa di estinzione del reato e tutte le sue vicende debbano essere ricondotte nell’alveo applicativo del principio di legalità e, dunque, le modifiche in peius della disciplina della prescrizione possono essere applicate solo a fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della disposizione censurata.

Ad avviso del rimettente, escludere il divieto di applicazione retroattiva dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020 potrebbe sembrare l’unica soluzione ragionevole per evitare di vanificare il lodevole intento del legislatore; ma per giungere a tale soluzione sarebbe necessario approdare ad una «processualizzazione» della sospensione dei termini di prescrizione, limitatamente alla norma censurata.

Ma l’impossibilità di individuare un parametro costituzionale di riferimento a fondamento dell’ipotizzata «processualizzazione» della sospensione dei termini di prescrizione renderebbe la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma, 4, del d.l. n. 18 del 2020, fondata in riferimento ai parametri sopra indicati.

4.1.– Con atto depositato in data 15 dicembre 2020, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni, sulla base di argomentazioni già espresse con riferimento alle precedenti ordinanze di rimessione.

4.2.‒ Con ulteriore memoria del 3 maggio 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, nel ribadire le argomentazioni già precedentemente formulate, richiama, a sostegno delle ragioni di inammissibilità e di non fondatezza della questione, la sentenza n. 278 del 2020 di questa Corte, avente ad oggetto la disposizione censurata.

Considerato in diritto

1.– Con le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe (r.o. n. 133, n. 152, n. 159 e n. 165 del 2020), i Tribunali ordinari di Paola, Spoleto, Roma e Crotone sollevano questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, nella parte in cui dispone la sospensione del termine di prescrizione, con riferimento ai procedimenti penali indicati nel comma 2 della stessa disposizione, anche per fatti commessi prima del 9 marzo 2020.

Le ordinanze iscritte al n. 133 e al n. 159 r.o. del 2020, inoltre, sollevano questioni di legittimità costituzionale anche nei confronti del comma 9 dello stesso art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, nella parte in cui prevede che il corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), del medesimo art. 83 del d.l. n.18 del 2020 e comunque non oltre il 30 giugno 2020.

1.2.– Tutte le ordinanze censurano l’art. 83, comma 4, del d. l. n. 18 del 2020, in riferimento alla violazione dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione, che vieta la punizione di alcuno in forza di una legge entrata in vigore dopo il fatto commesso e che, ad avviso dei rimettenti, preclude l’applicazione retroattiva delle norme che modificano in senso peggiorativo la disciplina della prescrizione del reato.

Inoltre, le ordinanze, ad eccezione di quella iscritta al n. 159 r.o. del 2020, prospettano anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, che pone il divieto di applicazione della legge penale a fatti commessi prima dell’introduzione della legge medesima.

1.3.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti dell’art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020, sono prospettate, dall’ordinanza iscritta al n. 133 r.o. del 2020, in riferimento all’art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza in quanto, secondo il rimettente, la sospensione del corso della prescrizione sarebbe conseguenza dell’adozione, da parte dei capi dei singoli uffici giudiziari, di misure organizzative, volte al rinvio dei procedimenti, soltanto eventuali e, quindi, sarebbe rimessa alla discrezionalità degli stessi.

Ad avviso del giudice a quo, inoltre, sussisterebbe il contrasto anche con gli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU, sotto il profilo della violazione del divieto di retroattività delle norme che modificano in senso peggiorativo la disciplina della prescrizione, perché la disposizione censurata prevede, anche per i fatti commessi prima del 9 marzo 2020, la sospensione del corso della prescrizione nei casi in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), dell’art. 83 del d. l. n. 18 del 2020.

1.4.– L’ordinanza iscritta al n. 159 r.o. del 2020 censura la medesima disposizione (art. 83, comma 9, del d. l. n. 18 del 2020) in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., non solo sotto il profilo della violazione del divieto di retroattività della norma penale sfavorevole, ma anche per la violazione del principio di legalità.

Secondo il giudice rimettente, la norma impugnata ancorerebbe la sospensione del corso della prescrizione ad una disposizione eventuale, contenuta nelle plurime e differenziate misure organizzative dei capi degli uffici giudiziari, sulla scorta delle quali il singolo giudice è legittimato a rinviare alcuni procedimenti oltre la data del 30 giugno 2020 (il differimento ulteriore al 31 luglio 2020 è venuto meno per abrogazione della norma che lo prevedeva).

In particolare, è denunciata la violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost., in riferimento al principio di tassatività e determinatezza, in quanto la disposizione censurata introdurrebbe una causa di sospensione della prescrizione, riconnessa al rinvio delle udienze di cui all’art. 83, comma 7, lettera g), del d.l. n. 18 del 2020, senza una previsione precisa e tassativa dei processi da rinviare, stante l’inevitabile incidenza di ragioni organizzative differenti in base alle esigenze dei singoli uffici e in considerazione del carico del ruolo del singolo magistrato giudicante.

La medesima ordinanza inoltre prospetta anche la violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) in quanto la norma censurata ricollega la sospensione della prescrizione al mero provvedimento di rinvio, anziché alla sospensione del processo sino alla data di rinvio.

2.‒ Tutte le ordinanze sollevano questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente analoghe e comunque strettamente connesse, sì da rendere opportuna la riunione dei giudizi per la loro decisione congiunta, alla quale non è di ostacolo la fissazione in un caso in udienza pubblica, negli altri casi in camera di consiglio.

3.‒ Le questioni sono state sollevate nell’ambito di procedimenti penali – aventi ad oggetto imputazioni per i delitti di cui rispettivamente agli artt. 113 e 589 cod. pen. (r.o. n. 133 del 2020), all’art. 658 cod. pen. (r.o. n. 152 del 2020), all’art. 648 cod. pen. (r.o. n. 159 del 2020) e agli artt. 81 e 629 cod. pen. (r.o. n. 165 del 2020) – pendenti nella fase del dibattimento, nei quali, qualora le disposizioni censurate fossero ritenute costituzionalmente illegittime, i giudici rimettenti dovrebbero dichiarare l’estinzione dei reati per essere decorso il termine massimo di prescrizione; laddove, invece, applicando la sospensione di tale termine come previsto dalle disposizioni censurate, non sarebbe maturata la prescrizione dei reati.

Sussiste quindi la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate tutte in giudizi di primo grado, che vedono ormai pressoché esaurito l’intero termine massimo di prescrizione e quindi compromessa una risposta di giustizia in tempi compatibili con il canone della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.).

4.– Va in primo luogo rilevato che le disposizioni censurate – sia il comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, sia il successivo comma 9 – appartengono all’articolata disciplina introdotta per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 con riguardo al settore della giustizia; disposizioni che, con particolare riferimento al procedimento penale, hanno entrambe previsto – ma sulla base di significativi differenti presupposti e secondo la scansione temporale di seguito indicata – una stasi dell’attività giudiziaria, salvo le eccezioni di cui si dirà più innanzi, stabilendo, altresì, la sospensione del corso della prescrizione dei reati, senza distinzione tra procedimenti aventi ad oggetto condotte consumate prima o dopo l’introduzione di tali norme.

Il censurato art. 83 è già stato scrutinato da questa Corte, limitatamente al suo comma 4, con la sentenza n. 278 del 2020, alla quale si farà ripetuto riferimento.

Le doglianze rivolte al successivo comma 9 della stessa disposizione presentano, invece, significativi elementi di novità.

5.– Vanno innanzi tutto esaminate le questioni di legittimità costituzionale che investono il comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, sollevate da tutte le ordinanze di rimessione; questioni che – come si è appena rilevato – recano censure analoghe a quelle già esaminate da questa Corte nella pronuncia sopra richiamata.

6.– Le questioni sollevate in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., sono manifestamente infondate.

Questa Corte ha già dichiarato non fondate le medesime questioni di costituzionalità, sollevate in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., sotto il profilo della violazione del divieto di retroattività della norma penale sfavorevole (sentenza n. 278 del 2020).

6.1.– In tale pronuncia ha posto in evidenza come la disciplina emergenziale, di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, abbia dato luogo – come puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità – ad un caso di sospensione del procedimento e del processo penale, in ragione dell’integrale sospensione dell’attività giurisdizionale nel periodo emergenziale, conseguente alla previsione sia del rinvio delle udienze, sia della sospensione dei termini processuali di qualsiasi atto del procedimento.

La Corte, quindi, ha ritenuto non fondata la denunciata violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost., rilevando che la sospensione del processo, da cui consegue la sospensione della prescrizione, ai sensi dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, è prevista «da una norma che impon[e] una “stasi” del giudizio basata su elementi certi ed oggettivi». Sicché la «riconducibilità della fattispecie in esame alla disciplina di cui all’art. 159, primo comma, cod. pen. esclude […] che si sia in presenza di un intervento legislativo» in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale sostanziale sfavorevole, sancito dall’evocato parametro.

Questa Corte ha, dunque, affermato che il principio di legalità è rispettato perché la sospensione del corso della prescrizione, di cui alla disposizione censurata, essendo riconducibile alla fattispecie della «particolare disposizione di legge» di cui al primo comma dell’art. 159 cod. pen., può dirsi essere anteriore alle condotte contestate agli imputati nei giudizi a quibus.

La regola di cui all’art. 159 cod. pen. – secondo cui, quando il procedimento o il processo penale è sospeso in applicazione di una particolare disposizione di legge, lo è anche il corso della prescrizione – è, infatti, certamente anteriore alle condotte penalmente rilevanti proprio perché contenuta nel codice penale del 1930 e ribadita dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), che ha modificato, sostituendolo, il citato art. 159 cod. pen.

La riconducibilità della sospensione della prescrizione, di cui alla disposizione censurata, alla regola generale stabilita dall’art. 159 cod. pen. assicura, dunque, che al momento della commissione del fatto il suo autore ha potuto avere consapevolezza ex ante che, in caso di sospensione del procedimento o del processo in applicazione di una particolare disposizione di legge, anche il decorso del termine di prescrizione sarebbe stato sospeso.

6.2.– Tutte le ordinanze di rimessione non prospettano profili di censura che non siano già stati esaminati nella richiamata pronuncia n. 278 del 2020, sicché, in mancanza di argomentazioni nuove e diverse, le questioni sollevate in riferimento alla violazione del principio di retroattività (art. 25, secondo comma, Cost.) devono essere dichiarate manifestamente infondate.

7.– Anche le questioni prospettate nei confronti del medesimo comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, in riferimento alla violazione dell’art. 7 CEDU per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., sono analoghe a quelle già scrutinate – e ritenute inammissibili – da questa Corte nella richiamata pronuncia.

Esse sono, quindi, manifestamente inammissibili.

7.1.– Tutti i rimettenti, ad eccezione del Tribunale di Roma (r.o. n. 159 del 2020), hanno evocato – come parametro interposto in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. – l’art. 7 CEDU, che prevede che nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale; né può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

I rimettenti richiamano la tesi della natura processuale dell’istituto della prescrizione accolta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che implica una garanzia di portata meno estesa di quella affermata dal costante orientamento di questa Corte.

Deve al riguardo ribadirsi, in relazione al principio di legalità, che «gli stessi principi o analoghe previsioni si rinvengono nella Costituzione e nella CEDU, così determinandosi una concorrenza di tutele, che però possono non essere perfettamente simmetriche e sovrapponibili; vi può essere uno scarto di tutele, rilevante soprattutto laddove la giurisprudenza della Corte EDU riconosca, in determinate fattispecie, una tutela più ampia» (sentenza n. 25 del 2019). Quindi in questa ipotesi di «concorrenza di tutele» si ha che l’invocato parametro convenzionale (art. 7 CEDU) ben può offrire talora, in riferimento a determinate fattispecie, una tutela più ampia del parametro nazionale (art. 25, secondo comma, Cost.). Ed è quanto accaduto allorché la questione, ritenuta inizialmente non fondata in riferimento a quest’ultimo (sentenza n. 282 del 2010), è poi risultata invece fondata in riferimento al parametro interposto (ancora sentenza n. 25 del 2019).

Ma, sotto tale specifico profilo, i rimettenti, pur consapevoli della natura sostanziale che l’istituto della prescrizione riveste nell’ordinamento italiano, hanno omesso di chiarire in quali termini il parametro convenzionale offrirebbe una protezione del principio di legalità maggiore di quella dell’art. 25, secondo comma, Cost., laddove invece la «predicata natura processuale della prescrizione riduce il perimetro della non retroattività della norma penale rispetto alla ricostruzione dell’istituto, quale presente nella giurisprudenza di questa Corte, che […] ne afferma invece la natura sostanziale» (sentenza n. 278 del 2020).

Anzi, le ordinanze di rimessione evidenziano «l’impossibilità di individuare un parametro costituzionale di riferimento per l’orientamento della “processualizzazione” della sospensione dei termini di prescrizione» (r.o. n. 133 e r.o. n. 165 del 2020) e rimarcano che, con riferimento all’istituto della prescrizione, è il parametro nazionale ad avere un ambito di applicazione più ampio di quello convenzionale (r.o. n. 152 del 2020).

7.2.– Va pertanto dichiarata la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate nei confronti dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU.

8.– Si può ora passare all’esame delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti del comma 9 dell’art. 83 del d.l. n.18 del 2020; disposizione questa che invece non è stata oggetto della sentenza n. 278 del 2020.

9.– Giova innanzi tutto richiamare brevemente il quadro normativo in cui si colloca la norma censurata, distinguendo una prima e una seconda fase di contrasto dell’emergenza epidemiologica.

9.1.– Il primo intervento legislativo concernente l’attività giurisdizionale posto in essere per rispondere all’emergenza determinata dall’epidemia da Covid-19 si è avuto con il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 (Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), il quale, all’art. 10, ha riguardato esclusivamente i procedimenti penali (e civili) pendenti presso gli uffici giudiziari dei circondari dei tribunali cui appartenevano i Comuni indicati all’Allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19).

Tale provvedimento aveva previsto – limitatamente ai territori indicati – la sospensione dei termini processuali e il rinvio delle udienze, ma si era altresì stabilito che, a partire dal 3 marzo 2020, il corso della prescrizione fosse sospeso per il tempo in cui il processo fosse rinviato o i termini procedurali fossero sospesi e comunque fino al 31 marzo 2020 (art. 10, comma 10, del citato decreto-legge).

È seguito il decreto-legge 8 marzo del 2020, n. 11 (Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria), per disciplinare, sull’intero territorio nazionale, il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini per tutti i procedimenti (civili, penali, tributari e militari).

In particolare, all’art. 1, comma 1, si è previsto che a decorrere dal giorno successivo al 9 marzo 2020, data di entrata in vigore del decreto medesimo, e sino al 22 marzo 2020, le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari (fatti salvi alcuni procedimenti di particolare urgenza) fossero rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020.

Contestualmente, al comma 2 dello stesso art. 1, si è prevista anche la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei detti procedimenti, fatti salvi quelli già richiamati.

È poi intervenuto il decreto-legge n. 18 del 2020, cui appartengono le norme censurate, e, prima che maturassero i termini di decadenza dei decreti-legge n. 9 e n. 11 del 2020 per mancata conversione, detti provvedimenti sono stati abrogati, con salvezza degli effetti, dall’art. 1, comma 2, della legge 24 aprile 2020, n. 27 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi).

Come già sopra rilevato, l’art. 83, ai commi 1 e 2, del d.l. n. 18 del 2020, per quanto attiene ai processi penali, ha disposto in via generale e obbligatoria, salvo alcune eccezioni, il rinvio di ufficio delle udienze a data successiva al 15 aprile 2020 e la sospensione dei «termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali» dal 9 marzo al 15 aprile 2020.

Su tali disposizioni è, poi, intervenuto l’art. 36 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40, che ha stabilito che il termine del 15 aprile 2020, previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, fosse prorogato all’11 maggio 2020.

In relazione a tali fattispecie, la prima delle disposizioni oggetto di censura (il comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020) ha disposto la sospensione dei termini di prescrizione, oltre che dei termini di durata massima delle misure cautelari personali.

Per effetto, dunque, della proroga disposta dall’art. 36 del d.l. n. 23 del 2020, la sospensione dei termini prescrizionali, di cui al comma 4 dell’art. 83, ha operato dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020.

9.2.– Quanto alla seconda fase di contrasto dell’emergenza epidemiologica, deve rilevarsi che il d.l. n. 18 del 2020 ha confermato il potere dei capi degli uffici giudiziari – già previsto dal d.l. n. 11 del 2020 – di adottare misure organizzative connesse alle esigenze sanitarie, derivanti dall’epidemia in atto.

Si è con ciò consentita una graduale ripresa delle udienze penali (e anche civili), rimessa alla valutazione dei capi degli uffici giudiziari, funzionale al controllo della diffusione del contagio.

In particolare, l’art. 83, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020 – dando inizio a tale seconda fase successiva all’11 maggio 2020 e ferma la necessità di contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria – ha previsto, per il periodo compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020 che «i capi degli uffici giudiziari, sentiti l’autorità sanitaria regionale, per il tramite del Presidente della Giunta della Regione, e il Consiglio dell’ordine degli avvocati, adottano le misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone. Per gli uffici diversi dalla Corte suprema di cassazione e dalla Procura generale presso la Corte di cassazione, le misure sono adottate d’intesa con il Presidente della Corte d’appello e con il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello dei rispettivi distretti».

Tale disposizione, rimasta invariata nel suo contenuto sostanziale, è stata più volte modificata in relazione all’ambito temporale di esplicazione del potere da essa conferita ai capi degli uffici giudiziari.

La formulazione originaria prevedeva, infatti, che i capi degli uffici potessero adottare tali misure organizzative nel periodo compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020; tale periodo veniva sostituito, per effetto dell’art. 3, comma 1, lettere b) e i), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70, con quello compreso tra il 12 maggio ed il 31 luglio; l’art. 3, comma 1, lettera i) del d.l. n. 28 del 2020 disponeva, poi, che la data del 31 luglio sostituisse quella del 30 giugno, ovunque questa si trovasse indicata nell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020; successivamente, di seguito alla conversione del d.l. n. 28 del 2020, la lettera i) veniva soppressa e, con l’introduzione della lettera b-bis), il termine del 30 giugno veniva espressamente ripristinato.

Di seguito a tali modifiche normative il potere dei capi degli uffici giudiziari di adottare misure organizzative, di cui al comma 6 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, è rimasto riferito al periodo compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020.

Proprio per consentire la ripartenza dell’attività giudiziaria, nel rispetto della finalità di cui al comma 6 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, si è stabilito che i capi degli uffici giudiziari potessero adottare misure organizzative, come la limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici giudiziari, restrizioni dell’orario di apertura al pubblico degli uffici, prevedendo anche la chiusura degli stessi (salvo che per servizi urgenti) e più in generale, la regolamentazione dell’accesso ai servizi, tramite una previa prenotazione, da effettuarsi anche con mezzi di comunicazione telefonica o telematica, in ogni caso predisponendo misure volte ad evitare forme di assembramento (art. 83, comma 7, lettere a, b e c, del d.l. n. 18 del 2020).

Ma accanto a tali misure generali, di carattere strettamente organizzativo-amministrativo, è stato conferito ai capi degli uffici giudiziari il potere di adottare provvedimenti riguardanti l’attività giudiziaria in senso stretto.

Si è, infatti, prevista l’adozione da parte loro di linee guida con carattere vincolante per la fissazione e la trattazione delle udienze.

Segnatamente ai capi degli uffici giudiziari è stato conferito il potere di prevedere il rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020, peraltro con alcune eccezioni. Sono stati esclusi i casi contemplati dal comma 3 dell’art. 83 citato, ossia quegli stessi procedimenti in relazione ai quali anche la sospensione ex lege di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 83 non trovava applicazione; quali, tra gli altri, i procedimenti a carico di persone detenute, quelli in cui erano applicate misure cautelari o di sicurezza o di prevenzione, nonché i procedimenti che presentavano carattere di urgenza per la necessità di assumere prove indifferibili.

Al di fuori di tali procedimenti, per assicurare l’attuazione delle misure dirette alla prevenzione del contagio, i capi degli uffici giudiziari – come accaduto in relazione ai procedimenti a quibus – alla luce delle specifiche esigenze sanitarie e organizzative dell’ufficio, valutate ai sensi del precedente comma 6 – hanno potuto prevedere il rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020.

In tale evenienza, qualora il magistrato non avesse ritenuto di trattare il processo nel periodo 12 maggio-30 giugno 2020, la disposizione censurata ha stabilito che per il tempo in cui il procedimento è stato rinviato, e in ogni caso non oltre il 30 giugno 2020, è sospeso il decorso del termine di prescrizione. Tale è infatti il contenuto precettivo della disposizione censurata (art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020): nei procedimenti penali il corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020.

10.– Ciò premesso, deve, in primo luogo, essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale ordinario di Paola (r.o. n. 133 del 2020), in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU.

Il rimettente, a sostegno della sua censura di lesione del parametro convenzionale, ha replicato argomentazioni identiche a quelle svolte nei confronti del comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 e, pertanto, non chiarendo, anche in questo caso, in quali termini tale parametro interposto offrirebbe una protezione del principio di legalità più estesa di quella dell’art. 25, secondo comma, Cost., vanno ribadite – anche con riferimento al comma 9 dello stesso art. 83 – le medesime ragioni di inammissibilità manifesta (vedi supra, punti 7. e seguenti).

11.– Nuova è invece la questione sollevata dal Tribunale di Roma (r.o. n. 159 del 2020), in riferimento al principio di legalità (art. 25, secondo comma, Cost.), sotto il profilo della denunciata sua violazione per insufficiente determinatezza della fattispecie legale dalla quale consegue la sospensione della durata del termine di prescrizione dei reati nel periodo dal 12 maggio al 30 giugno 2020.

La questione è fondata.

12.– Va ribadito che la concreta determinazione della durata del tempo di prescrizione dei reati appartiene alla discrezionalità del legislatore, censurabile solo in caso di manifesto difetto di ragionevolezza o proporzionalità.

È il legislatore che – secondo scelte di politica criminale legate alla gravità dei reati – valuta l’affievolimento progressivo dell’interesse della collettività alla punizione del comportamento penalmente illecito e determina quando il decorso del tempo, in riferimento ad ogni fattispecie di reato, ne comporti l’estinzione. Ossia stabilisce la «durata, per così dire “tabellare”, prevista in generale dall’art. 157 cod. pen., ma talora fissata con norme speciali in riferimento a particolari reati (ad esempio, in caso di delitti in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto) – entro la quale sussisterà, in ogni caso, la punibilità della condotta contestata» (sentenza n. 278 del 2020).

È questa l’intrinseca natura sostanziale della prescrizione che chiama in causa la garanzia del principio di legalità (art. 25, secondo comma, Cost.); principio questo che costituisce caposaldo del complessivo sistema punitivo – il cosiddetto “diritto sanzionatorio” – trovando esso applicazione alle fattispecie di reato (sentenza n. 25 del 2019) e alle sanzioni amministrative di carattere sostanzialmente punitivo (sentenza n. 5 del 2021).

Una persona accusata di un reato deve poter conoscere ex ante (ossia al momento della commissione del fatto), sia la fattispecie di reato, sia l’entità della pena con proiezione, entro certi limiti, anche alle modalità della sua espiazione in regime carcerario (sentenza n. 32 del 2020), sia la durata della prescrizione (art. 157 cod. pen.).

Ma la garanzia della natura sostanziale della prescrizione si estende anche alle possibili ricadute che sulla sua durata possono avere norme processuali.

Se da una parte per queste ultime trova, invece, applicazione di per sé, in quanto regola del processo, il diverso canone del tempus regit actum, dall’altra le conseguenze in termini di possibile allungamento della durata del termine di prescrizione sono attratte alla dimensione sostanziale, che connota tale istituto, e quindi al rispetto del principio di legalità: anch’esse devono essere previste dalla legge del tempus commissi delicti. Rileva, sotto questo profilo, soprattutto la disciplina della sospensione e dell’interruzione della prescrizione (artt. 159 e 160 cod. pen.).

Coniugando l’uno e l’altro aspetto, si ha che la garanzia del principio di legalità richiede che la persona incolpata di un reato deve poter avere previa consapevolezza della disciplina della prescrizione concernente sia la definizione della fattispecie legale, sia la sua «dimensione temporale»; quest’ultima risultante dalla (ben precisa) durata tabellare della prescrizione (art. 157 cod. pen.) e dalla (possibile) incidenza su di essa di regole processuali, quali quelle dell’interruzione e della sospensione (amplius, sentenza n. 278 del 2020). Ciò comporta – come già rilevato – non già l’esatta prevedibilità ex ante del dies ad quem in cui maturerà la prescrizione e il reato sarà estinto, stante l’applicazione solo eventuale di siffatte regole processuali con ricadute sostanziali sulla durata del termine di prescrizione, ma la predeterminazione per legge del termine entro il quale sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, della responsabilità penale.

13.– Il rispetto del principio di legalità richiede, quindi, che la norma, la quale in ipotesi ampli la durata del termine di prescrizione (art. 157 cod. pen.), ovvero ne preveda il prolungamento come conseguenza dell’applicazione di una regola processuale, sia «sufficientemente determinata» (sentenza n. 278 del 2020), e, ove tale, sia anche non retroattiva (e pertanto applicabile solo a reati commessi successivamente alla data della sua entrata in vigore).

Con riferimento alla cosiddetta “regola Taricco” di derivazione europea, che significava il prolungamento, in alcuni casi, della durata del termine di prescrizione di reati tributari, dapprima la stessa Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M. A. S. e M. B.) ha affermato che l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa interna in materia di prescrizione, sulla base di tale regola, viene meno quando ciò comporta una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile oppure dell’applicazione retroattiva di una normativa che preveda un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.

Successivamente questa Corte (sentenza n. 115 del 2018), proprio richiamando tale pronuncia, ha ritenuto assorbente il «deficit di determinatezza» che caratterizzava la “regola Taricco” «a causa della genericità dei concetti di “grave frode” e di “numero considerevole di casi”», intorno ai quali essa ruotava; e quindi ha concluso affermando, in via interpretativa, che «la violazione del principio di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni all’ingresso della “regola Taricco” nel nostro ordinamento», e non già, soltanto, che essa non poteva avere efficacia retroattiva.

Parimenti si è affermato che «il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell’applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate» (ordinanza n. 24 del 2017).

Più recentemente, questa Corte, esaminando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, ha ribadito innanzi tutto che la fissazione della durata del tempo di prescrizione deve essere – come già ricordato – «sufficientemente determinata» (sentenza n. 278 del 2020). E tale è stata ritenuta la disposizione allora censurata che ha previsto la sospensione del termine di prescrizione in riferimento all’applicazione della regola processuale contenuta nella congiunta applicazione dei commi 1 e 2 dello stesso art. 83; i quali hanno disposto il rinvio d’ufficio di tutti i procedimenti penali (oltre che civili) a data successiva all’11 maggio 2020 e la sospensione del decorso di tutti i termini per il compimento di qualsiasi atto.

Tale generalizzata stasi processuale identifica, secondo la giurisprudenza di legittimità, una fattispecie legale – nella specie, integralmente legale – di sospensione del procedimento o del processo imposta da una particolare disposizione di legge.

Sicché, in quel caso, la Corte è passata ad esaminare la denunciata violazione del principio di non retroattività, parimenti contenuto nell’art. 25, secondo comma, Cost., ritenendola, nella specie, non sussistente – come già sopra ricordato – perché la sospensione del procedimento o del processo, recata dai primi due commi del censurato art. 83, poteva dirsi rientrare nella fattispecie di cui al primo comma dell’art. 159 cod. pen., costituendo così esplicitazione di una regola già contenuta in quest’ultima norma codicistica, come «causa generale di sospensione».

14.– Al contrario, con riguardo alla questione in esame – quella che investe il comma 9 dell’art. 83 – la valutazione del rispetto del principio di legalità sotto il profilo della sufficiente determinazione della fattispecie legale conduce ad una diversa conclusione, dovendo ritenersi che esso sia violato per le ragioni che si vengono ora ad esporre; conclusione questa che è assorbente sì da non richiedere che si debba procedere anche alla verifica del rispetto del canone di non retroattività della legge che in ipotesi prolunghi la durata del termine di prescrizione.

15.– La norma censurata (art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020) prescrive che nei procedimenti penali il corso della prescrizione rimanga sospeso per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del precedente comma 7, lettera g), e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020.

La formulazione testuale della norma è apparentemente simile a quella del comma 4 dello stesso art. 83, già scrutinato da questa Corte, ma in realtà vi è una radicale differenza.

Il comma 4 àncora la sospensione del termine di prescrizione a presupposti compiutamente definiti nei precedenti commi 1 e 2, talché – come si è già sottolineato – la fattispecie è sufficientemente determinata per legge.

Invece il comma 9 fa riferimento al precedente comma 7, lettera g), che contiene un rinvio alle «misure organizzative» che i capi degli uffici giudiziari – in ragione della generale previsione del comma 6 del medesimo art. 83 – sono facoltizzati ad adottare per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria; misure che – secondo la catalogazione contenuta nel comma 7 – possono consistere in una serie di prescrizioni riguardanti non solo l’accesso del pubblico agli uffici giudiziari, ma anche «l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze» (lettera d) e «la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al comma 3» (lettera g).

Quindi, in particolare, la previsione del rinvio delle udienze, cui si ricollega la sospensione del decorso della prescrizione, costituisce il contenuto possibile di una misura organizzativa che il capo dell’ufficio giudiziario può adottare ai sensi del comma 6 del medesimo art. 83; facoltà questa che solo genericamente è delimitata dalla legge quanto ai suoi presupposti e alle finalità da perseguire.

È sufficiente che il capo dell’ufficio giudiziario abbia di mira il contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 per contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria e il contenuto delle misure organizzative può riguardare anche la trattazione degli affari giudiziari, se ciò è ritenuto necessario per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di evitare contatti ravvicinati tra persone all’interno dell’ufficio giudiziario.

Il rinvio delle udienze – con il limite dei procedimenti indifferibili tassativamente elencati al comma 3 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 – è disposto sulla base di «linee guida vincolanti» che il capo dell’ufficio giudiziario è facoltizzato ad adottare per la fissazione e per la trattazione delle udienze.

In tale quadro, questa normativa speciale e temporanea introduce sì una fattispecie di rilievo processuale, in quanto essa può comportare il rinvio delle udienze penali per alcuni processi e non per altri, secondo quanto prescritto nelle linee guida del capo dell’ufficio; ma da essa conseguono significativi effetti di natura sostanziale nella misura in cui il comma 9 dell’art. 83 dispone la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui il processo è rinviato, non oltre comunque il 30 giugno 2020.

All’eventuale provvedimento generale del capo dell’ufficio, che risponde a esigenze organizzative legate all’andamento della pandemia, la norma censurata riconnette l’effetto in malam partem recato dalla previsione della sospensione del decorso del termine di prescrizione nel caso di rinvio del processo, determinando così un allungamento complessivo del termine entro il quale la fattispecie estintiva della punibilità si realizza.

Per la sua valenza sostanziale, pur mediata dalla regola processuale, tale previsione normativa ricade comunque nell’area di applicazione del principio di legalità, il quale richiede – come si è detto sopra – che essa, incidendo sulla punibilità del reato, sia determinata nei suoi elementi costitutivi sì da assicurare un sufficiente grado di conoscenza o di conoscibilità.

Invece, la misura organizzativa del dirigente dell’ufficio, cui consegue il censurato effetto in malam partem (per l’imputato) in caso di rinvio del processo, non trova nelle disposizioni di cui all’art. 83, commi 6, 7 e 9, del d.l. n. 18 del 2020 adeguata specificazione circa le condizioni e i limiti legittimanti l’adozione del provvedimento di rinvio, cui appunto consegue tale effetto sfavorevole sul piano della punibilità del reato in ragione dell’allungamento del termine di prescrizione.

Il presupposto, il contenuto e le finalità di tali misure organizzative, consistenti in linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze, sono solo genericamente fissate dalla legge (art. 83, commi 6 e 7, del d.l. n. 18 del 2020). Inoltre, tale vincolo per il giudice del processo, chiamato poi a disporne, caso per caso, il rinvio sulla base di siffatte linee guida (e non già a richiesta della difesa dell’imputato), non è neppure assoluto, perché è sempre possibile che egli ritenga invece che il processo abbia carattere d’urgenza per la necessità di assumere prove indifferibili (art. 83, comma 3, lettera c), con l’effetto di rendere non operante la regola posta nelle linee guida del capo dell’ufficio.

16.– In sostanza, è solo al momento dell’adozione del provvedimento di rinvio del processo che si completa e si integra, caso per caso, la fattispecie legittimante il rinvio stesso: in tal modo la regola speciale finisce per avere un’imprevedibile variabilità in sostanza non dissimile da quella che avrebbe avuto il contenuto della “regola Taricco”; contenuto «deciso da un tribunale caso per caso, cosa che è senza dubbio vietata dal principio di separazione dei poteri di cui l’art. 25, secondo comma, Cost. declina una versione particolarmente rigida nella materia penale» (ordinanza n. 24 del 2017).

La fattispecie del rinvio del processo, prevista dalla disposizione censurata, è integrata completamente con il richiamo di provvedimenti privi di natura normativa, quali appunto sono le misure organizzative del capo dell’ufficio giudiziario e le sue linee guida per la fissazione e la trattazione delle udienze. Ciò non inficia certo la legittimità della previsione di tale richiamo come regola processuale, ma non soddisfa il canone della sufficiente determinatezza per legge della fattispecie da cui consegue l’effetto sostanziale dell’allungamento della durata del termine di prescrizione.

Né l’integrazione eteronoma della regola processuale che reca la sospensione del processo, prevista dalla norma censurata, può ricondursi al mero completamento della fattispecie legale, come in altre ipotesi previste dall’art. 159 cod. pen. Tali sono quelle per cui la sospensione della prescrizione opera rispettivamente nei casi di autorizzazione a procedere; di deferimento della questione ad altro giudizio; di sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori o su richiesta dell’imputato o del suo difensore; di sospensione del procedimento penale per assenza dell’imputato; o, infine, di rogatorie all’estero.

In tutte queste ipotesi il principio di legalità, sotto il profilo della sufficiente determinatezza della fattispecie, è rispettato perché la disciplina della sospensione del processo – e conseguentemente anche del corso della prescrizione – trova una descrizione chiara e precisa nella medesima disposizione che la prevede (art. 159 cod. pen.), oppure, ferma restando la riconducibilità alla disposizione codicistica, essa è integrata dal richiamo a una «particolare disposizione di legge».

Invece la norma attualmente censurata, nel prevedere una fattispecie di sospensione del termine di prescrizione, rinvia a una regola processuale, recante la sospensione del processo, il cui contenuto è definito integralmente dalle misure organizzative del capo dell’ufficio giudiziario, così esibendo un radicale deficit di determinatezza, per legge, della fattispecie, con conseguente lesione del principio di legalità limitatamente alla ricaduta di tale regola sul decorso della prescrizione.

17.– Pertanto – assorbite le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento, sia all’art. 3 Cost., sia allo stesso art. 25, secondo comma, Cost., sotto il profilo della irretroattività della legge penale sfavorevole – deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, del d.l. n.18 del 2020, nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui i procedimenti penali sono rinviati ai sensi del precedente comma 7, lettera g), e in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020. Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui i procedimenti penali sono rinviati ai sensi del precedente comma 7, lettera g), e in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020;

2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, del d.l. n. 18 del 2020, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Paola, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, sollevate, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU, dai Tribunali ordinari di Spoleto, Roma e Crotone, con le ordinanze indicate in epigrafe;

4) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, sollevate, in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., dai Tribunali ordinari di Paola, Spoleto, Roma e Crotone, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2021.