SEGUSINO COUNTRY NEWS
veneto servo
Storie magiche, anime venete che gridano offese, viaggi poetici,
visioni di natura viva che cerca di dare aiuto ad un piccolo popolo
che ha perso le sue radici e non sa più chi è e dove andare..
Venetian servant
Magical stories. The Venetian soul has been offended. Now she cries;
poetic journeys,
visions of living nature to try to help a small nation
that has lost its roots and no longer knows who he is and where to go ...
The Magic Mulberry Tree of Menola,
a Gian Berra story.
A tale of Gian Berra in 2012. Hymn to Pan and living roots in all of us ... Witness the Morer, the tree of the blackberries.
In the lands of the bishops of Venice dirty things happen, to live life. On the banks of the sacred river to the country, the Piave.
History of extreme and pagan sex, without limit. True story told to Gian Berra by Menico in person. Noteworthy event near Segusino, Pederobba, Ciano del Montello and Covolo di Piave. A servant people like Venetian not know how to do away with the bishops of Venice and drop their pants on command. But perhaps the god Pan, may give an answer.
Gian Berra 2012
http://www.scribd.com/doc/89610537/The-Magic-Mulbarry-Tree-of-Menola-Gian-Berra-2012
Il gelso magico di Menola
storia pagana di
Gian Berra
Un racconto di Gian Berra del 2012. Inno a Pan e alle radici vive in tutti noi... testimone il morer, l'albero del
Nelle terre dei vescovi di Venezia accadono cose sporche ,a vive di Vita. Sulle rive del fiume sacro alla patria, Il Piave.
Storia di sesso estremo e pagano, senza limiti. Storia vera narrata a Gian Berra da Menico in persona. Evento notevole vicino a Segusino, Pederobba, Ciano del Montello e Covolo di Piave. Un popolo servo come quello veneto no sa come fare a meno dei vescovi di venezia e calarsi le mutande a comando. Ma forse il Dio Pan può dare una risposta.
Gian Berra 2012
Segusino, CAOS BAROCCO
viaggio poetico di Gian Berra
dedicato a
Segusino e la Valle dei Mulini
Testi, poesie racconti e foto di
Gian Berra
Prima edizione 2010 by Gian Berra
© Gian Berra
Links per foto e contenuti free in internet:
gianberra@hotmail.com
Il nuovo sito tutto su Segusino, Riva grassa, Stramare, Milies. Tante foto inedite e poesie di Gian Berra.
https://sites.google.com/site/segusinosite/
Un sito nuovissimo su Pederobba, Levada, Curogna, Covolo di Piave: l'anima di Gian Berra fa dono dei suoi ricordi alla gente del Veneto.
https://sites.google.com/site/pederobbasite/
http://www.scribd.com/doc/83920149/Caos-Barocco-Segusino-La-Valle-Dei-Mulini-Gian-Berra
http://www.lulu.com/product/ebook/caos-barocco/17413568
http://www.scribd.com/doc/42179010/WASERE-Di-Gian-Berra-Romanzo
http://www.scribd.com/doc/58232538/Psicologia-Sciamanica-Saggi-Selvaggi-Di-Gian-Berra-2002-2005
Indice:
La valle dei mulini a Segusino e Gian Berra
Menola e il morer. Racconto di Gian Berra
In diretta da S. Peter Show... Racconto di Gian Berra
Gian Berra hippie dal 1973...
Pan è vivo nelle nostre radici...
Lontano fu quel tempo, quando ancora la Natura aveva un'anima,
anzi quando un gruppo infinito di anime spendevano il loro tempo a vivere.
In quei tempi lontani gli umani vedevano tale moltitudine di anime e ognuna di esse era tanto reale che nessuno era solo. Ad ogni passo la Natura si rivelava come una folla di relazioni.
La vita di ognuno era ricca di dialoghi e ogni alba era un inizio fiducioso negli incontri della giornata.
Ogni tramonto era un abbandono nel sonno appagato. Le sfide della vita erano sogni di libertà e le passioni seguivano i profumi delle stagioni.
Ma venne il tempo della follia. La paura si propagò e negò agli umani il dono di vedere. Da allora essi furono ciechi alle anime dalla Natura. Divennero solitari e fecero finta di non vedere che sé stessi. Da allora sono soli e non sanno come dare un perché alla loro tristezza. Si alzano ogni mattino e ciò che vedono non li soddisfa.
Al tramonto essi non salutano la notte e non vorrebbero mai accogliere il buio da soli.
Ma le anime della natura sono sempre attorno agli umani. Ogni attimo cercano di parlare con essi. Ogni tanto qualcuno risponde ad un sussurro appena udito, e questi si meraviglia di riscoprire tale amore dimenticato.
Sono attimi in cui il cuore accoglie il calore della Vita e riprende il dono perduto: non è più solo.
Sono questi attimi di festa in cui si svela l'inganno della paura e del rifiuto.
Forse i tempi del buio stanno per finire.
Tale scritto è stato rivelato dagli abitanti dell'aria, della terra,
dell'acqua e del fuoco
all'anima inquieta di Gian Berra
La stupenda forra della valle dei Mulini
a Segusino
Lat. 45° 55' 13,4” N
long 11° 57' 22,4 E
Una profonda valle creata dal torrente Ariù, che scendendo da Stramare ha scavato nel corso dei millenni. La direzione è est-ovest, per cui raramente la valle vede il sole. Malgrado l'umidità e l'ombra quasi perenne, la forra mantiene un microclima umido costante. Al centro si sono conservati edifici del tempo in cui la valle veniva ancora abitata e adibita allo sfruttamento del corso del torrente per alimentare i mulini.
La valle dei Mulini è conosciuta nel paese di Segusino anche come:
- Cal del Pont
- Trodo dei mulin
- Via dei Mulini
Il gigante rugginoso guardiano della valle dei mulini a Segusino...
Gian Berra presenta la valle dei Mulini...
Ricordi senza tempo...
Ho percorso innumerevoli volte questa valle incantata sin da bambino. Essa è un territorio magico e incantevole e misterioso.
Ho fotografato i suoi angoli in tutte le stagioni e ho protetto così i suoi tesori.
Ho dipinto i suoi aspetti in tanti quadri che ora sono sparsi nel mondo.
Ho cercato di infondere nei miei dipinti tutto il mio stupore per tale bellezza... e ciò ha funzionato davvero bene. Gente che non conosceva questa valle ha portato via dal mio studio le immagini dipinte di questo paradiso naturale per godersele nelle loro case.
Ho trasmesso loro la magia che io ho raccolto come un dono dalla Natura, a piene mani.
Ora quella magia agisce in quelle case e dona forza alle loro vite.
Oggi è ora che anche quelle vecchie foto escano dai miei cassetti. Le faccio girare per il mondo per dare questa enegia naturale che è forza garantita.
***
Le foto sono state scattate in due occasioni: Luglio 2008 e febbraio 2009. La serie estiva è stata pubblicata in internet e ha riscosso notevole successo dato che qualcuno si è allarmato e ha cominciato a fare un po' di pulizia senza discrezione. Altri hanno chiuso i passaggi con cancelli improvvisati...
La serie invernale del 2009 non è presente ancora in internet, ma qualche foto è inserita in questo primo libro. Seguirà più avanti un altro libro con le foto "invernali" dedicato all'anima "pagana" della valle.
Le poesie di Gian Berra sono state scritte dal 1996 al 2007 e sono già presenti in internet nel sito di Lulu.com in un libro col titolo: Caos Barocco di Gian Berra. Può essere scaricato gratiutamente.
La Vita ci parla con le emozioni nascoste in tutti noi che sempre risorgono...
La luna e il fiore
Ombre di velluto carezzano i prati,
luci di perle richiamano il disco d’argento.
Un fiore solo, assopito
Sognava i ricordi.
Raggi di latte toccano i petali chiusi,
danno al dolce sonno
sicuro rifugio.
Ricordi quel grande lavoro?
Sussurra la luna,
mille anni per creare la tua anima,
altri mille per il tuo corpo,
mille ancora per farti vivere.
Assapori la vita
Come gioia di esistere.
Pupille nascoste raccolgono luce,
emergono dal grande buio sensazioni,
la paura di nascere
il timore di crescere
e poi, ancora, nel profondo,
il sentirsi vivo,
e l’angoscia di non sapere.
La luna cammina nel cielo, non da risposte.
Ma abbraccia ogni cosa,
non svela il mistero
ma carezza la vita.
1996 Gian Berra
Un guardiano ti aspetta all'ingresso del paradiso e ti nasconde tutte le cose belle che troverai dentro la valle. E' una presenza misera e arrogante che pretende di importi il suo potere assoluto. E' il lato negativo e disperato dei ricordi ormai morti. Lui vuole mostrarti solo la tua paura.
Ma la sua ruggine rivela la sua debolezza. Puoi proseguire senza timore.
Pan vive nelle nostre radici più intime...
Il coniglio di zio Vittorio.
La rete dell’orto
la stessa di allora, porta ancora la pelle
del coniglio che zio Vittorio
puliva per sfamare la sua famiglia
di poveri orgogliosi.
Lì in paese il rispetto era soprattutto
non chiedere la carità.
E zio Vittorio puliva il coniglio orgoglioso
che era solo suo.
Ma quando la rabbia di quando era stato zitto di fronte
alle ingiustizie, esplodeva…
allora la sua disperazione contro chi
legava la sua vita.
Ora lui è stato dimenticato, e la rete ruggine ed inutile
continua a dividere qualcosa che non si vede.
Ma che giace, ancora,
in fondo al cuore.
Gian Berra.
Mio zio Vittorio viveva a Riva Secca di Segusino. Padre onestissimo di quattro figli aveva consumato la sua vita in una miseria assoluta facendo i lavori più pesanti e mal pagati.
Smise di andare in chiesa fin da giovane. Aveva capito subito che non poteva comprarsi il vestito da festa nè per sè stesso, nè per la moglie e i figli. Così preferì non vendere la sua anima e vivere solo con ciò che poteva raccogliere col suo sudore.
Un vero padre veneto che nessuno ricorda più.
La vita dimenticata...
La vita dimenticata per un ricordo di fame, sfruttamento e umiliazione. Un odio vecchio che condiziona i rapporti umani. Un passato vissuto da servi senza speranza che si controllavano a vicenda per schivare il castigo di un padrone comune.
Un padrone assoluto che possedeva la terra e le anime.
Dove sono le radici?
La valle dei mulini a Segusino nel febbraio 2010
La fonte di ghiaia.
La fonte di ghiaia è ben nascosta
tra le frasche del bosco.
Appena dietro le acacie
all’ombra e tra i sassi del ghiaione.
Poca acqua scorre, e subito si perde; ma i passeri e le gazze
fanno festa durante le ore estive
E furtive corrono via quando un rumore o un gesto
scuotono le foglie.
Occhi furbi osservano le piccole prede
cadere nei lacci o nel vischio.
La pancia del miserabile
si riempie con poco.
La fonte di ghiaia
scorre e si lascia usare.
Non si nasconde,
attende invano che
qualcuno che la chiami
per salutarla.
Gian Berra.
Dove sono le nostre radici?
Sono nella solidarietà delle nostre donne. Nell'aiuto e nella comprensione di due coscienze che si guardano negli occhi e si fidano di ciò che sono.
Uomini e donne che lottano per la loro vita e che guardano all'umanità di ogni essere e che non si fidano più delle parole e delle immagini assolute che vogliono rendere oggetti le loro anime.
Ognuno di noi è un Dio tra mille Dei che siamo noi tutti. Non abbiamo bisogno di padrini o matrigne. Basta guardarci attorno e vedere quanta Vita vive da sempre intorno a noi.
Ma forse solo i nipoti dei nostri nipoti si accorgeranno del tesoro che ci sta attorno...
Riva grassa a Segusino. Un tesoro ignorato...
Palo d’acacia.
Storto da inverni umidi
e da calori spietati
ha sorretto i cavi dell’uva.
Fiero di essere utile e forte,
ora il vecchio palo d’acacia si piega
e mostra gli anni.
Ancora non cede
al marcio del suo piede.
Ma basta poco per scuoterlo,
e solo i passeri vi si posano.
Gian Berra
Erano solo passeggiate solitarie che mi riempivano il cuore,
Un albero fiero dimenticato nella forra mi donava il suo orgoglio di essere vivo,
Ma anche quelle pietre enormi mi raccontavano una storia ben più antica di noi tutti.
Poi quei muri abbandonati raccontavano la loro libertà da una vita grama di servi.
Ma mi indicavano quanto breve era il cammino verso una libertà
che era solo in attimo di consapevolezza.
Salutare un sasso è un atto di coraggio.
Gioire per un ramo d'acacia che fiorisce e si dona al vento è osare di essere come lui.
Ma chi è in gabbia non vede oltre le sbarre in cui si è lasciato chiudere.
Ma la Vita gli sta attorno e lo farà anche se nessuno la nota.
E io ogni volta raccoglievo la sua energia, e la portavo dentro di me, sino a casa.
Cuore di biscia.
Atterrita, la biscia scura si nasconde tra i rovi dei lamponi.
Il suo cuore batte di paura
e immobile aspetta di capire.
L’uomo che falciava l’erba
l’aveva vista fuggire la sua lama.
Ma l’odio usciva dai suoi occhi
colpendola con rabbia cieca
e poi inseguirla nel folto.
Ferita e quasi morta
lasciata lì come rifiuto
ora si trascina
e non capisce
ne sa, se imparare
ad odiare.
Gian Berra
Suona eterna la musica della Vita...
Sulle onde
Afflato sottile respira, lieve
A sé bastevole e
Senza intento accetta
Anche di non essere,
vola sulle onde e le guarda appena.
Il vento lo sostiene ma
Non lo rende sicuro e
Lo lascia libero
Di vivere la paura
Oscura
Di cadere.
Gian Berra
Scorza d’albero
Le valli rugose che ti fanno
Vecchia
E i toni spenti che si ripetono monotoni
Ma che non si somigliano mai
Mi rendono inquieto e
Ho paura di non so che.
Sottile sensazione di disagio perché
Non so contare i tuoi segniNé posso elencarli.
Cosa resta oltre i numeri se non vaghi segni?
Allora il vuoto soffoca le certezze
E comincio a lasciarmi volare
Disperato. Ma l’abisso del nulla
Stavolta è dolce
E mi ci tuffo
Al buio.
Gian Berra
Il torrente Ariù...
Un torrente che scorre tutta la valle dei mulini. Acqua e vita che alimentava i mulini.
La valle dei mulini a Segusino mostra la sua vera immagine solo a chi guarda senza paura al ricordo.
Cosa ci hanno dato i nostri padri? Molto amore mai espresso dalle loro bocche legate dallo sforzo di vivere.
E' per questo amore che io sento scorrere legato e furioso per non aver dato abbastanza.
Ci hanno lasciato la nostra terra, ma non la hanno goduta pienamente e hanno sacrificato tutto il loro tempo...sperando che almeno i loro figli potessero un giorno fermarsi
e guardarsi attorno liberi dalla paura.
Ma è ancora così troppo presto per guardare liberi le nostre radici?
Per me è un atto di libertà che mi conquista il cuore ogni giorno e mi rende felice.
Il mio destino è rappresentare.
E ciò mi basta...
All’ombra delle frasche a ombrello.
Invito di abbandono,
ma nasconde un segno nascosto.
Lì sotto le frasche ad ombrello
le cose non sognano incanti,
solo esistono protette da foglie,
che poi cadranno.
E ciò che era intento, svanisce.
Il cuore deluso, guada oltre
e cerca conforto,
Ma nulla conforta
Se non , più lontano
Vaghe nuvole...
Gian Berra
Rosso oscuro.
Difficile pace,
conquistato silenzio e abbandono.
Brivido che freme e scuote la forza.
Vita che si impone e trova spazio.
Ma il tuono di un colpo,
ancora agita l’onda oscura,
minaccia o affronto?
Pronta difesa affila la lama lucente
Che altre volte ha ferito, e sé ferisce.
Affonda il pensiero nel corpo
e taglia, offende.
E rosso oscuro diventa ogni idea.
Tenebre di abbandono si impongono,
e più nulla in vita.
Se non il vuoto di pace, e il vincitore
Sogghigna, appagato.
E solo.
Gian Berra
Scarico libero.
Oltre la rete
Le forme sono accatastate
Per recuperare spazio
E oscure nell’alba si fanno notare
Per angoli affilati
E fili tirati che fanno raccolta di gocce di rugiada.
Vago grigio che tenta di apparire
Sicuro di esistere,
e l’acqua caduta stanotte a formato pozze
nella terra che conduce là.
Il freddo umido rende inquiete le ossa di chi
Ha regalato la vita
Ad altri, e non conforta i pensieri.
Trema la mano, e tenta ancora di fare
Per non perdere l’abitudine,
intanto il raggio di luce si fa largo,
Indifferente.
Gian Berra
L’orlo
C’è, ma lo percepisco appena,
è il punto dove è buio,
là nulla è certo e tasto con le mani ,
cercando atomi sicuri.
Ma non ci sono.
Mi butto lo stesso e gusto
L’emozione del pericolo di finire l’ora.
Sento che il nulla è,
che ora ho fatto un pezzo di sostanza,
che mi serve.
Sono.
Gian Berra
Scivolata
Come bava
Casuale è la caduta plastica
Al calare del giorno.
Come fermare ciò che corre verso
Il punto senza nome?
I colori danno festa agli attimi e
Io gusto questo vuoto come aria fresca e sottile che
Si compiace di esistere.
Lascio andare le regole apprese e
Mi metto sul desiderio,
e ancora, un’altra volta
faccio il salto.
Gian Berra
Il vento se ne va…
E’ già passato
E lo sento fuggire
Laggiù dove le foglie ancora
Scuotono tremando
I loro bordi.
Dispettoso non si lascia
Afferrare dalla mia pelle,
e mi lascia solo
a sperare di tenerlo
domani
un po’ con me.
Gian Berra
Ombra che abbaia.
Latrati ostili
Inseguono l’ombra di un gatto,
e decisi mi levano il sonno,
e lo sguardo si volge al prato buio,
e un segno nero corre
lontano
forte e cosciente.
Il cane conquista la notte
Come territorio
Di conquista.
Lo porto nei miei sogni come,
fuga dal domani.
Gian Berra
Le zucche.
I semi rifiutati
Levano le palme
Timidi
E fieri.
Pastelli che provano
A vivere senza chiedere
Permesso.
Mi offro al loro invito,
cercando un rispetto,
senza confini,
e li accolgo,
commosso.
Gian Berra
Freddo mattino
Punge l’aria di un freddo mattino
e i rami secchi di vita
apparente
indicano
l’aria lassù.
Come dita di mani che chiedono luce
al cielo ancora buio.
Un buio lungo come una notte
ha rubato calore ai sogni di fare,
ma ogni volta la sfida è vinta col giorno
che ritorna.
E io come nuvola che percorre il cielo
al calore del sole,
vivo il buio come spazio che annuncia
un’altra luce, e poi
un altro buio.
Finché un nuovo Dio che nasce, farà da sé
la propria
luce.
Gian Berra
Fine marzo-poesia
La terra secca di marzo
ignora le mie tensioni
e guarda il sole che come alleato
sa come usare il tempo che viene avanti,
indifferente ai sospiri
disordinati della coscienza che ancora cerca
sé stessa.
Foglie vive di verdure precoci
tendono all’aria fresca la loro sfida
all’aria dispettosa.
Le immagini sonnolente
delle maschere che mi porto appresso,
tentano di dare un senso a questi attimi.
Ma è inutile cercare un punto su cui poggiare
i miei piedi.
Ogni volta orizzonti confusi si mostrano
come probabili,
e certi.
Finchè di nuovo, la brezza del mattino
cancella i confini e rinnova l’invito
a realizzare
i sogni.
Gian Berra
Inverno alla valle dei mulini a Segusino, 2010
Sole di settembre
Vola scontroso il merlo,
e rade spighe d'erba secca
segnano dove va il vento.
Là è il sasso dove trovavo pace
e mi sedevo davanti all'acqua che andava via lontano?
Un brivido mi ricorda che ho smarrito
i sogni di voli lontani.
E ora sono solo io, senza più bastoni
a cui appoggiarmi
se non alcune rade speranze scolorite
che il primo freddo
disturba
e porta via.
Gian Berra
Afa
La linea piatta dei ciottoli
disegna gradoni lontani d’oasi di verde.
E anche i merli sono lontani dall’acqua
nascosti sotto l’ombra dei salici.
Riflessi tremolanti d’aria rovente
muovono l’orizzonte.
Coscienze nascoste evitano l’azione
e il pensiero si strugge impotente
d’agire.
Così l’attimo si impone
e deride il potere di fare
mentre l’afa vince superba.
Gian Berra
Giove rabbioso
Il filo di luce illumina
il buio e un tuo gesto freddo fa muovere
i rami dei gelsi. So che sei tu o Giove.
E accolgo la tua rabbia con un brivido e ti guardo.
L'acqua che versi su di me è piacere.
La lascio scorrere gelida e viva.
Sfido gli inganni che mi nascondono a te.
Apro le porte della tua rabbia e mi nutro
col suo sapore.
Il rombo secco della tua voce mi scuote
e ancora una volta il mondo
ti può udire.
Raccolgo nelle palme aperte i tuoi doni
e ti ringrazio.
E indovino anche
un tuo sorriso.
Gian Berra
Fuochi nel caos
Il buio insiste
a stringere i miei risvegli
di fuga alla vita.
Pesano le membra e la luce è maledetta.
Ma l'uso a fare mi fa lasciare il caldo
dei sogni e accogliere il Sole.
I Titani del caos mi richiamano
ogni mattino a loro, e acuti i loro fuochi
mi richiamano al nulla.
Ma ogni volta debbo lasciarli
lacerato di abbandonarli, e proseguire
solo
il mio cammino.
Gian Berra
La valle dei Mulini di Segusino non domanda altro che donarsi al mondo.
Essa è un incanto che è governato dal Dio Pan. Un Dio geloso e sfacciato che non fa preferenze.
Per parlare con lui? Pan desidera essere adorato. Pan non pretende nulla, ma richiede almeno uno sguardo consapevole.
E solo così Pan si rivela e ci stupisce per il suo splendore.
Tra i rovi, gli sterpi, le immondizie e i muri umidi e diroccati si nasconde l'incanto.
Tra le rocce che franano, le acacie e l'impeto del torrente Ariù, l'aria fredda mette i brividi.
La valle dei mulini mette timore ai deboli che cercano un salvatore dalla paura.
La valle dei mulini si presenta reale e senza inganni; e allo stesso tempo ti incanta per farti innamorare col suo fascino di una bella femmina... o maschio selvatici.
Prendere o lasciare! Sembra dire Pan a chi lo cerca: - Vuoi davvero trovare le tue radici? Se lo vuoi davvero allora devi guardarmi in faccia.
Pan fa pura a quelli che hanno gettato alle ortiche il loro coragggio. Pan ride di essi perché Lui è senza tempo.
Ho inserito tra le righe anche diverse poesie scritte senza pensare, ma lasciando che le parole nascessero da sole.
Gian Berra...
Menola e il morer. Racconto di Gian Berra
Vicenda realmente accaduta nelle grave del Piave, tra Ciano e Covolo di Pederobba....
Là dove il Piave fa una grande ansa e gira deciso verso est, proprio di fianco a Crocetta e Ciano, le sue rive si allargano senza limite. E' possibile camminare per ore tra le lande sassose e non incontrare nessuno. Per questo ci vado spesso e tra erbe selvatiche e macchie rade di alberi fieri posso allargare lo sguardo sin dove può arrivare. Non ci sono limiti e così mi è facile lasciare che i ricordi prendano il colore dell'aria. Senza schemi la fantasia immagina e vive ogni realtà possibile. Sogna e ricorda, appunto.
Se guardo verso sud lo sguardo è riempito dalla presenza del Montello, lunga e bassa collina che mi fa compagnia e incornicia come un abbraccio la riva di Ciano.
E' facile fare tanta strada che poi, stanco, vorrei andare a ristorarmi un po'. Così quando arrivo alla croda granda, giro sicuro, e l'osteria di Menola e proprio la vicino.
Di mattina o di pomeriggio non c'è mai nessuno e Menola è felice di poter parlare. Io del resto in tasca ho sempre di che pagarmi l'ombra di rosso. Qualche volta incontro anche Menico, sempre distratto e con lo sguardo scocciato.
Quando lo vedo il cuore riprende a battere perché vorrei ascoltarlo ancora raccontare la sua storia, ma devo aspettare che Menola sia di buon umore. Lui non vuole ascoltarla per niente. Lui è l'oste e va rispettato.
Oggi è un pomeriggio di quelli. Svogliato e senza idee sto aiutandomi con un uovo sodo a finire il vino aspro di Menola e guardo fuori i pioppi che sfumano verso le rive. Una volta , poco più in giù c'era una grande pozza d'acqua, quasi un lago, e la strada ci girava attorno. Sul lato accostato alla collina, la strada era solo un sentiero che girava per agli alberi. Questi formavano un bosco che si confondeva con la palude.
Un grande morer solitario, imponente sulla riva , era il capo di tutti quegli alberi. Cresciuto senza padroni formava lui solo una macchia imponente.
Pochi ci passavano accanto tranquilli o indifferenti. Lui chiedeva rispetto e l'otteneva senza fatica. L'ombra del morer era un regno a sé. Ed è in questo mondo sempre buio che…
Forse non era stata una buona idea , ma Menico a volte non pensava. Si lasciava condurre così dai pensieri vaganti finché la strada non esisteva più. Si era avviato verso le grave anche se la sera ormai diventava quasi notte. Il fresco di settembre era appena accennato e l'aria calda ancora invitava a pensieri inquieti.
Cosa cercare ancora tra quei sassi? Inquieto e svagato Menico aveva già dimenticato la giornata di lavoro e il buio lo chiamava senza ragione. Si accorse di essere lontano dal sentiero quando il fitto del bosco aveva già coperto la luce della sera. Il buio improvviso lo svegliò dal sognare e lasciò che un brivido freddo lo segnasse rapido come un lampo. Rallentò il passo, e cosciente del suo ritmo, con cautela proseguì verso l'acqua.
Intuì il sospiro come se realmente potesse udirlo..ma appena tendeva l'orecchio il silenzio lo lasciava solo e deluso.
Cos'era quel sussurro che non riusciva ad ascoltare?
Furioso per ciò che gli sfuggiva, si sedette sulla sabbia, tra due grossi talpon, e guardando verso l'acqua vicina lasciò vagare l'attenzione come quando sognava. Sognava con la mente e i pensieri erano liberi, ma con gli occhi osservava il mondo da lontano. Così, ingannando la sua rabbia, lasciò entrare in sé ciò che non vedeva ne sentiva.
Con la coda dell'occhio notò un movimento nel buio alla sua sinistra. Sapeva di non poter girare la testa, sentiva che se lo avesse fatto ogni cosa sarebbe svanita. Lo sapeva e basta.
Si lasciò condurre dall'istinto e fingendo di guardare la palude, girò con prudenza il viso quanto bastava per osservare. E poi con infinita lentezza, cercando di nascondere la sua tensione, spostò lo sguardo con finta indifferenza.
Sotto il gran morer un grumo scuro si muoveva. Non cercò subito di capire, ma lasciò che si rivelasse a lui la scena: Una figura grossa e ingobbita, piegata e tesa, era sopra un'altra figura seduta, appoggiata all'enorme tronco. Soffi e sbuffi e modi agitati rendevano tesa l'aria e Menico si sentì risvegliare il sangue. Il suo corpo non poteva ignorare il desiderio e già rispondeva al sogno nascosto. Il suo manico premeva nei calzoni e pretendeva attenzione: Quei due spandevano furia di vita con urla soffocate. Quello che stava sopra era fin troppo curvo sulla femmina, ma era instancabile e la faceva gemere quasi come un pianto sussurrato. Lei lo accoglieva abbracciandolo e tirandolo verso di sé movendosi a ondate lente e ritmate.
Poi poco alla volta il silenzio riprese a dominare gli attimi. I due rimasero ancora abbracciati in un'unica forma scura e Menico per paura di essere visto smise anche di respirare.
Onde di odore muschiato solcavano come bassi sentieri l’aria tra i tronchi. Sembrava che anche gli alberi aspettassero l’apice che chiedeva sfogo e liberazione. Ma il tempo sembrava non passare mai e tutto era in attesa, in tensione; e Menico viveva ciò come parte di ciò che accadeva.
Menico già perdeva l’attenzione, un vago sonno ipnotico lo intorpidiva e lo rendeva pesante, lento…
Per poco non si strozzò quando Lui si alzò: Un essere imponente, con le gambe storte e la gobba, le spalle smisurate e la testa piccola cercò di mettersi in equilibrio. Ma gli vennero i brividi quando vide e non volle credere. Lui aveva i corni, piccoli e curvati all'indietro come le capre.
Menico si bloccò come fosse di ghiaccio. Lo sguardo si spostò allora su di Lei e la vide rilassata, appoggiata al grande morer, con le gambe aperte e le braccia abbandonate sui fianchi.
Era bianca come la luna, liscia e quasi trasparente. Un corpo acerbo ma voglioso di vita. Il suo viso era delicato, piccolo e rotondo e risplendeva di riflessi azzurri. Capelli lisci e chiari ricadevano sulle sue spalle. Un ciuffo d’argento filato spiccava superbo tra le cosce che accoglievano lo sguardo.
Lei guardava il gigante con naturale interesse, lo squadrava e assorbiva la sua immagine…e vide Menico.
Lei non mosse gli occhi, ma lo vide. Menico sentì in sé sciogliesi ogni volontà. Il mare infinito lo stava avvolgendo e sembrava annullare ogni pensiero.
Tentò di ribellarsi, mentre una parte di sé ferita gridava di non farlo.
Il cuore sembrava scoppiargli nel petto e le mani artigliavano la sabbia. Con uno scatto doloroso staccò gli occhi da Lei e fu subito catturato dallo sguardo di Lui.
Pupille di fuoco lo guardavano assenti e lo soppesavano. Poi divennero odio. Si era girato verso di lui. Le sue cosce pelose incorniciavano un pene appuntito ed esagerato. Nero nel nero.
I piedi erano piccoli, quasi degli zoccoli, e vide anche un accenno di coda. Già il gigante stava per scattare quando Lei gli prese il polso peloso e lo trattenne.
Menico si trovò bloccato a fissarli entrambi e tremando, finalmente ascoltò la sua paura. Scattò senza guardare e corse verso la strada senza neanche più pensare. Superò d’un balzo le rive solitarie e buie. Non vide i campi dove il granturco si seccava , ne sentì gli squittii impauriti delle pantegane disturbate. Corse e corse finché si ritrovò vicino alla casa dei Matiol.
Poi si sedette e dietro un mucchio di fieno si lasciò andare ad un pianto senza vergogna.
La luna da sopra lo consolava, ma era inutile.
Menico si era bagnato i calzoni, e ora portava in sé il sogno più sogno di tutti. Non poteva tornare a casa così. No lui aveva visto Lei, e la sua immagine era fusa al suo cuore.
Menico aveva visto Lui, e nessuno, oltre Lui sarebbe stato più terribile.
Decise di rimanere con la luna, almeno per quella notte.
°°°°°°°
Bluette teneva stretto a sé Bronza. Lui furioso già stringeva nel sogno il collo dell’umano. La rabbia antica e la disperazione senza fine stava già cancellando il piacere che lei gli aveva dato. Ma lei non avrebbe permesso alla sua furia di distruggere ciò che stava nascendo. Lo tirò a sé decisa e guidò con le mano il suo membro fiero dentro di lei.
Lo strinse e lo abbracciò con slancio e calore.
Bronza avvertiva il fuoco e la rovina, ma il calore e l’umido profondo di Bluette cancellava e diluiva la tensione.
Si lasciò cadere nel fondo di lei ancora una volta. Permise alle sue reni di seminare ancora vita. La sua.
E Bluette ancora lo accolse in sé. Ancora e ancora…
Viveva del suo slancio e gustava il suo fare.
Poi pian piano la tensione svanì negli attimi. Ogni pensiero si placò, e Bronza si lasciò cadere nel letto di foglie accanto a Lei. Sognava ad occhi socchiusi ed assenti il piacere del nulla. Ora, appagato e quasi felice lasciava che il filo rosso dell’ira rimanesse oltre l’attenzione e i ricordi. Lasciò lontani i pensieri di vendetta e di sangue e si addormentò.
Lei invece incrociò le braccia sui seni nudi, immaginando un brivido di freddo. L’umano aveva visto lei e Bronza. Ciò la stupiva. In tutta la sua vita di ninfa umida mai aveva notato umani che potessero vedere il popolo della vita.
Quelle scimmie arroganti erano cieche al grande mondo.
Ma l’umano era un giovane maschio e lei aveva catturato la sua attenzione.
Aveva ancora in sé il piacere dell’abbandono a Bronza. Ma il brivido sottile della conquista dell’umano era dolce come il miele. E in autunno il miele era finito. O no?
°°°°°°°°°°°°
Menico non tornò a casa quella notte. Dormì nel fienile accanto alla fontana piccola. Poi si fece vedere affaccendato nell’orto di casa. Come si fosse alzato presto. Sua madre gli chiese qualcosa, ma poi non ci pensò più e lo lasciò stare.
Menico invece non vedeva più le cose. Che ora era? Dove doveva andare? Ma oggi cosa c’era da fare? E i fianchi levigati di Lei erano li davanti a lui e chiedevano di essere carezzati. La pelle lucida e azzurrina era senza forma solida, ma prendeva quella del suo desiderio. I suoi occhi erano uno spicchio d’infinito e lo supplicavano di venire da lei.
La sua bocca era una voglia da gustare…
La pancia di Menico era una tensione che voleva. Il suo sesso pretendeva.
E la giornata non sapeva di nulla. Lui era solo. Ma stasera sarebbe tornato là. Certo che sì. Desiderava Lei come la vita.
Le sere di settembre qui sul Piave di Ciano, sono lunghe e ancora calde e i profumi dell’estate indugiano nell’aria senza vento. Ma un vago senso di inquietudine, nascosto sotto la crosta delle cose che si vedono, rende inquieti i cuori. Specialmente quelli che si vogliono incontrare e hanno fretta di toccarsi e gustare il fatto di esistere.
Così Menico si avvicinò quasi di corsa al bosco del morer, ma poi quando fu a pochi passi si nascose e rimase ad ascoltare. Nulla e nessuno era presente. Echi lontani sottolineavano un silenzio indifferente alla sua tensione.
Si avvicinò al morer e la sabbia nulla diceva dei ricordi che lui portava dentro.
Sedette appoggiandosi al tronco e poco alla volta si lasciò avvolgere dalla penombra. La accettò come parte di sé e i pensieri si placarono.
Bluette lo sentì quando era ancora nascosta sul lato fitto del bosco. Piano si avvicinò, studiando la sua attenzione. Ancora non l’aveva vista, ma sembrava sicuro di sé: Nascondeva bene il suo desiderio. Lui la voleva; un umano!
Si avvicinò ancora un poco e uscì con prudenza dall’ombra oscura di un’acacia, proprio di fronte la radura.
E Menico che sognava ad occhi aperti non la vide finché una scintilla illuminò il punto nascosto del suo occhio destro e accese il suo desiderio. Il cuore ebbe un sussulto e si bloccò il respiro. La sua schiena si irrigidì e da solo il suo sguardo seppe dove guardare. La vide che usciva dal buio come se camminasse su una nuvola.
Splendeva di luce propria e lo guardava sicura di sé. Le sue braccia cadevano naturali incorniciate dai lunghi capelli e il seno piccolo ma fiero si mostrava. Il ventre invitava al suo ciuffo di vita e le lunghe gambe si muovevano appena, lente e sicure. Lui venne catturato dai suoi occhi. Un mare su cui annegare.
Quando Lei le fu vicina gli parve di entrare nella luce che la avvolgeva e il mondo di sempre non esisteva più.
Non furono necessarie parole e lui non ricordò mai di averla toccata. Ma quando entrò in lei era come se si fosse annullato nel grande mare della vita e perse ogni identità sognando e gustando il suo abbraccio. Aveva provato il paradiso e non desiderava altro.
Sentiva le sue forme e carezzava il suo velluto e ogni carezza era quella più dolce. La voluttà di esistere e vivere era una realtà, L’umido in cui si muoveva era l’invito ad una eternità di estasi senza fine…
Poi i suoi occhi che lo guardavano dentro, lo lasciavano giocare coi colori e l’infinito.
Seppe quando questo finì.
Quando poco alla volta il riposo lo riportò al mondo. Con Lei vicino che lo guadava, lui sentì senza soffrire il distacco. Lei non permise al suo cuore di soffrire e gli rimase vicina finché il sonno lo vinse.
°°°°
Bluette lentamente si staccò dall’umano. Delicata come una foglia gli permise di rimanere nel sogno che lo rapiva e gli regalava gioia.Aveva conquistato il suo cuore e lui ora era suo per sempre. Ora quella scimmia umana aveva sperimentato l’infinito e il suo sguardo vagava oltre la nebbia di sempre.
Sentiva in sé la forza che lui le aveva dato col suo desiderio. Aveva un sapore diverso da quella che Bronza le regalava e sapeva di arroganza. Come quella dei bambini che non hanno limiti e osano il gioco.
Così col legame che aveva creato, avrebbe mantenuto in sé quel nuovo sapore. Un colore nuovo la colmava dentro e Bluette sapeva di avere vinto.
Poi l’aria fredda della notte svegliò Menico, che stupito di ritrovarsi lì, si rivestì svogliato. Non vide la luna e il buio attorno a lui era come una coperta di velluto. Lei non c’era più. Ma era come se fosse con lui. La sentiva dentro come una cosa conquistata. L’aveva fatta sua.
Una parte di sé la voleva toccare, e guardare ancora negli occhi; ma sapeva che non sarebbe più venuta. Aveva toccato il cielo e le cose non sarebbero più state le stesse.
Menico si avviò mesto verso Ciano. Ora gli occhi vedevano le ombre degli alberi quasi vive, e lontano sul Montello strani riflessi che saettavano sopra il bosco. Sentì la civetta chiamare, e per la prima volta non provò fastidio; anzi, avrebbe voluto rispondere al saluto. Bastò questo a donargli un poco di calore.
Sentiva la vita scorrere attorno a sé, e questa sensazione lo riempiva e lo confortava…
°°°°
Menola quel pomeriggio era inquieto. Lo era sempre quando venivano alla sua osteria Menico e Gian. Quei due sembrava si mettessero d’accordo. E venivano sempre negli orari più strani. Oggi che giorno è? Già oggi è venerdì e domani cominciano ad arrivare i Trevisani e i Veneziani. Sono loro che riempiono l’osteria ogni fine settimana. Se fosse per quelli del posto Menola avrebbe già chiuso.
Vede in lontananza quei due che si salutano: Menico torna verso Ciano e Gian si incammina giù per le grave, verso Covolo. Già con Menico c’è una vecchia ruggine.
Ricorda quella volta che suo padre, l’anno prima che morisse e che gli lasciasse l’osteria, volle tagliare il gran morer per farne legna. Chiamò due suoi amici ad aiutarlo. Abbatterono il grande tronco con fatica e sudore, ma la legna durò parecchio. Ricorda che quando Menico venne a saperlo, corse all’osteria a urlare che avevano fatto una cosa schifosa. Era la prima volta che vedevano Menico infuriato, tutto rosso in faccia. Sembrava matto, e poi si era messo a piangere come un bambino!
Prima sua madre e poi anche gli altri presenti lo avevano confortato offredogli un’ombra e un panino con le sardelle. Poi Menico si calmò e non se ne parlò più.
Menico non si era mai sposato e viveva da solo sulle rive, ma almeno una volta alla settimana veniva all’osteria. Ma per i gusti di Menola era troppo imbambolato. Ora comunque c’era da preparare l’osteria per il fine settimana…
Già. So bene che vi faccio perdere tempo a rinvangare vecchie storie. Ma tengo a precisare che di certo qualcuno l’ha visto. Nessuno ne vuole parlare e se ne vergogna ma a me non importa. Voglio dirlo almeno una volta qui che nessuno mi conosce e anche se mi prende per matto non me ne frega niente.
Si dice che un’ombra scura ogni tanto saetta là dove c’era una volta il grande morer.
L’ombra è nera e grande, sembra abbia anche i corni e la coda. Qualcuno le ha visto gli occhi che sono rossi e pieni di furia e d’ira.
Chi ha visto quel diavolo, in quel posto non ci è più tornato.
©2001 Gian Berra
In diretta da S. Peter Show… racconto di Gian Berra
Un racconto di un prossimo futuro non più così lontano...
Hallo amici, buona mattina da New Rome… buon giorno felice e chiaro!
Sveglia chiapponi è ora di darsi da fare! Il sole è già alto e voi ancora sognate e fate bene. Ma con voi c’è S. Peter Show che vi sveglia con tenerezza ed affetto. Una mattinata di buona musica che… ma no!
Ecco che Gelindo mi passa qualcosa: Gelindo ma ti pare il momento! I nostri ascoltatori stanno proprio ora lasciando il buio…
Ma ragazzi e ragazze oggi è speciale davvero! Come non l’ho notato? Oggi è il quarantesimo anniversario del Grande Flop!
Proprio oggi! Come quel lunedì 24 giugno 2170. Per giunta è lunedì pure oggi!
Campa cavallo! Il tempo passa e si invecchia. E a scuola ci hanno stufati parecchio raccontandoci quella storia. La sappiamo tutti e non ci interessa granché. Per giunta io non ero ancora nato. Ma ragazzi, mi si continua a dire che fu una gran cosa. Grande e terribile. Ricordo appena i casini e i disordini che ancora scuotevano il mondo quando ero un pupo da latte.
D’accordo, forse è meglio che vi dia un accenno di ciò che accadde quel giorno. Forse non è tempo perso, ma poi tutti ad ascoltare musica e a far festa! Per Giove!
Beh, devo pur iniziare dell’inizio? La cosa ebbe inizio quando un gruppo di nopagani vecchio di 150 anni si mise a combinare la tecnologia allora in gran voga dei Quanti Concreti e cercò di applicarla a vecchie e decrepite nozioni di Gnosi Agnostica. Già, la cosa nacque proprio qui in questa terra benedetta dal sole. Quelli erano gente decisa e strana. Stufi di rivangare vecchie cose e litigare per nulla si misero all’opera. Forse fu il fatto che i loro genitori avessero loro infuso tanto ardore? Fatto è che trovarono il modo di rendere accessibile a tutti l’n-dimensione. E vi pare poco?
Erano stufi di considerare che L’aldilà o il fumoso stato eterico fosse solo prerogativa dei predicatori e dei santi, degli artisti o dei visionari. No! Loro lo volevano subito ora qui: in concreto.
Tra di loro c’erano ingegneri in informatica, di fisica quantica e anche naturalmente veri stregoni e streghe. E anche esperti elettricisti, è ovvio.
Non ci misero molto a scoprire che le n-dimensioni non erano solo teoria: modificando l’approccio teorico dei Quanti Concreti, e allargandolo a dimensioni non fisiche, tentarono e osarono oltre l’ovvio e il conosciuto.
Innanzi tutto considerarono il “non fisico o non misurabile” come possibile; e poi focalizzarono un fascio di particelle quantiche cariche delle loro intenzioni verso una possibilità senza limiti di esistenza. Era solo uno degli innumerevoli tentativi quello in cui Clinto, un figlio tredicenne di Nestore, l’ingegnere di fisica applicata del gruppo neopagano propose a suo padre di non limitarsi a creare immagini fumose di visioni immateriali…ma di entrarci dentro.
Vi sembra una cosa da poco? I bambini sono i nostri veri salvatori. Così Nestore chiamò gli altri e in una notte di dopolavoro fece il miracolo.
Insieme applicarono una vecchia porta completa di stipite al muro nord della cantina. Dietro la porta c’era il muro di cemento.
In realtà non si sa molto di quella notte. Ma erano in cinque più il ragazzo.
Venne collegata la porta al proiettore quantico e programmata come via di fuga delle n-particelle. In realtà la cosa non era gestibile manualmente. Perciò si usò il computer di Clinto per programmare i parametri con cui informare il flusso di particelle. Fu una cosa artigianale; infatti per quel primo tentativo vennero usate solo 14 variabili. Cose da matti. Ma il computer non poteva gestirne di più. E la fortuna li assistette.
La porta venne aperta e i macchinari accesi. Quando col cuore in gola Nestore diede il via la cosa accadde.
Un sospiro di sei gole che si liberavano per la sorpresa empì la cantina.
Occhi sbarrati e corpi rigidi di paura mal nascosta fissavano immobili il rettangolo luminoso che si era aperto nello stipite: una luce soffusa e azzurrina ora proveniva da lì e illuminava a giorno la cantina.
Nessuno osava fiatare. Ma Clinto fece un passo per primo e si avviò verso la porta di luce e scrutò curioso oltre. Un attimo e anche gli altri gli erano dietro. Oltre lo stipite un infinito fumoso e luminoso senza fine invitava e incuriosiva. Sembrava in leggero movimento e senza un pavimento. Soffiava un alito fresco e invitante.
Dato che nessuno si muoveva Clinto profittò del momento e varcò la porta.
Le vecchie cronache raccontano tutto di questo eroe. E ci dicono che fece il primo balzo solo perché era curioso. Da allora sappiamo bene cosa è successo. Sta di fatto che gli uomini non sono davvero eroi, infatti la scoperta era così inattesa che nessuno di quelli che erano lì stette zitto.
Clinto raccontò la cosa ai suoi amici e questi alle loro famiglie. E gli altri confidarono tutto alle loro mogli e si vantarono con i colleghi di lavoro.
Si creò una tale confusione che le autorità confiscarono tutto e venne fatta a Nestore dal comune una denuncia di abuso edilizio per aver applicato una nuova porta senza autorizzazione.
Ma oramai la cosa era fatta.
Ed era così semplice…
Cinque anni dopo in tutto il mondo erano attive le prime le sale pubbliche
n-dimensionali. Gruppi di gente vi si recava per trovare spazio e fare ciò che voleva. Poi con i modelli portatili ciascuno poteva aprire in casa sua una entrata privata nella n-dimensione. D’accordo, non erano modelli perfezionati, ma funzionavano. Oramai tutti gli enti governativi possedevano ingressi del genere.
L’n-dimensione non aveva limite. Uno spazio con una superficie da percorrere, ma con infinite altre superfici da ideare e scoprire. Tutto dipendeva dai parametri d’entrata. Uno spazio infinito da riempire…e vivere. Una luce diffusa e una vaga musicalità.
Ma a tempo limitato. Infatti allo stato delle conoscenze di allora non era possibile prolungare la durata dell’apertura della porta d’entrata oltre un certo tempo.
Poi le persone usavano allora l’n-dimensione per svago o per isolarsi in gruppi. Iniziò per prima una banda di fracassoni di periferia di Detroit: portò nella n-dimensione tutti gli strumenti musicali, un generatore, sedie, mobili, un frigo di birre ghiacciate. E lì si sfogava ogni fine settimana. Quando vi ritornò la settimana dopo si accorse che altri avevano rubato gli strumenti. Così dovettero trasportare nella n-dimensione anche robusti recinti e un container. Presto comunque si trovarono soluzioni adeguate e infinite attività fiorirono. Innamorati che cercavano intimità, spie che si passavano segreti, magazzini di armi ben sorvegliati. Gruppi di dissidenti e sette di nuova concezione. Si trattava di una n-dimensione di tipo terrestre. Non vennero trovati ne dio ne Dei, ne anime. Per ora almeno.
Rimasero un poco delusi gli Gnostici-Agnostici, che speravano di incontrare qualche nuova presenza, e i neopagani che ritenevano di aver fatto un buco nell’acqua. Ma il bello doveva ancora venire.
L’n-dimensione venne vista dalle religioni monoteiste che allora infestavano il mondo come un mondo satanico. Chi la usava era scomunicato all’istante. Musulmani e cattolici specialmente erano confusi ed inorriditi. Ma si accorsero presto che se lì non c’era il loro dio, potevano benissimo potarvecelo.
Iniziarono i testimoni di Geova, poi i cattolici Romani e tutti gli altri, poi i seguaci dell’Islam e gli Ebrei.
Ma questa volta si accordarono. Fecero i furbi.
Volevano occupare solo per loro interi livelli di n-dimensione. E impedire ad altri di accedervi. La cosa non era possibile. Infatti l’n-dimensione è aperta a tutti coloro che vi accedono. Così in segreto venne studiata una difesa di territorio integrando nei Quanti Concreti una programmazione che limita il loro confine. Come un guscio in cui si può accedere da una sola porta. E l’apparecchiatura di controllo poteva essere attivata anche dall’interno della n-dimensione scelta.
Solo le tre più grandi religioni monoteiste possedevano tale congegno. Islamici, cattolici ed ebrei si misero d’accordo per dividersi una gran fetta del nuovo mondo. Per inaugurare tale evento venne scelto un venerdì, un sabato e una domenica del giugno 2170.
Si trattava di riunirsi tutti assieme nei nuovi territori per celebrare la gloria del loro dio unico. Una cosa da fare alla grande
Il venerdì 21 giugno tutti i più importanti capi religiosi islamici, tutti i mullah più autorevoli, tutti i santi in vita e i conduttori dell’islam si recarono nella n-dimensione ai livelli che si erano presi, assieme ai fedeli più devoti.
Il sabato, i rabbini, le guide spirituali, i condottieri, gli esperti delle sacre scritture, gli ortodossi e tutti gli altri presero possesso di loro livelli.
Di colpo il mondo sembrò più silenzioso. E la domenica mattina quando il papa e i rappresentanti delle chiese sorelle separate si preparavano a fare il grande salto e prendere possesso in pompa magna dei nuovi territori privati a loro dedicati con grandi cerimonie, ci fu un poco di timore; ma dato che ci erano andati gli altri, anche tutti loro ci andarono assieme ai cardinali, vescovi, santi viventi, miracolati e i fedeli più fedeli.
Ma la sera della domenica un vento freddo soffiò sul mondo.
I cittadini della Mecca stavano in silenzio e presagivano ombre paurose.
Lunedì 24 giugno ci fu panico a Gerusalemme, verso sera a Roma la gente vagava inquieta.
Martedì scoppiò il caos multimediale a livello mondiale.
Nessuno era tornato.
Davvero! Non mi credete? Di quelli che erano partiti non tornò più nessuno. Nel giro di pochi anni ciò che era rimasto delle tre grandi tre religioni si sfaldò in mille rivoli. E immense ricchezze vennero divise.
Vennero fatte varie ipotesi. Poi i fisici idearono una nuova teoria che oggi noi sappiamo era giusta. Il marchingegno applicato ai Quanti Concreti, atto a limitare zone della n-dimensione funzionava davvero. Ed era possibile attivarlo e disattivarlo a piacere. Ma i Quanti Concreti, allora non erano conosciuti come oggi. Si pensava infatti che si trattasse solo di particelle programmabili in modo informatico-elettronico a livello atomico, a livello, appunto, concreto.
Ma non si tenne conto della concretezza dei quanti eterici, essi sono l’aspetto che assumono le particelle quantiche nel mondo a n-dimensioni.
Quando questi gruppi si isolarono volutamente nella n-dimensione rimasero legati saldamente allo stato eterico. Staccati da ogni contatto col mondo da cui provenivano. Con l’impossibilità pratica di tornare. Si scoprì che la cosa si era verificata anche grazie alla grande volontà di isolamento di quella gente e la loro impossibilità di relazionarsi con altre alternative.
Solo più tardi abbiamo scoperto quanto contano i desideri ( anche quelli inespressi) nella n-dimensione. E la potenza, il potenziale dei desideri di quelle persone disperate le ha bloccate lì per sempre.
Ragazzi! Allegria! Quello è stato un gran giorno! Mica che qui sia un paradiso, ma si vive meglio. Non vi sembra?
Eppoi chi di noi non ha ora un angolo tutto suo dove fare quello che gli pare nella n-dimensione? Naturalmente con prudenza, mi raccomando!
Hei! Sapete che in settimana parte il sevizio settimanale per Marte?
Da quando hanno scoperto che è possibile viaggiare nella n-dimensione e uscire dove si vuole; basta programmare la porta d’uscita e…puff…si è su Marte. L’hanno scoperto per primi i Cinesi: L’autunno scorso hanno requisito un vecchio mercantile arrugginito. Hanno chiuso tutti i boccaporti e caricato un bombolone d’ossigeno e lo hanno spedito in orbita attorno a Phobos. E’ arrivato proprio lì e poi è tornato.
Manco a dirlo il mese dopo la Boeing ha costruito un bussolotto di alluminio lungo 200 metri carico di cannoni, armi laser, missili e marines e ha impiantato una base su Marte.
Pensano già di uscire dal sistema solare entro l’anno e darsi un’occhiata attorno.
Così va la vita! Allegria!
Ricordatevi di stasera; è il 24 giugno! Gran meeting delle streghe a S. Peter Square, New Rome
Allegria!
Gian Berra
©2001 Gian Berra
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Rimangono attimi che non si cancelleranno mai dal cuore. Così Pan ci fa un regalo che ci ricorderà sempre la nostra vera natura malgrado tanti inganni subiti dalla nostra gente.
Le radici orgogliose comuni sono sempre a nostra disposizione.
Per sempre.
Basta raccoglierle.
Gian Berra
Gian Berra hippie nel 1972
La foto ritrae Gian Berra nel 1972-73. Gian era un giovane che dopo una breve esperienza universitaria aveva abbracciato con ardore gli ultimi fuochi dell’epoca hippies Ma la provincia veneta era distante dalle passioni di libertà della fine degli anni sessanta: il Veneto non è la California e nemmeno Parigi. Ma Gian Berra non si rende ancora conto che vive in una realtà addormentata da secoli e svuotata da ogni entusiasmo. Chi è il ladro che ha rubato la vitalità al popolo in cui si trova a vivere? Perché la gente sembra cieca alla natura che ogni giorno le alimenta la vita?
Sono domande ingenue e terribili. Loro non possono avere una risposta per un artista che sta per scoprire di esserlo: Gian non ne potrà fare a meno di porsi queste domande. Gian Berra già dipinge e si dedica alla scultura, ma non lo considera ancora un lavoro. Per questo tenta alcune fughe all’estero. Prima parte con il cugino Renzo per la Svizzera e si ferma per un po’ a Shaffausen e a Tayngen. Poi con l’amico Giannetti se ne va in Germania e visita Braunsweig e Hannover. Comincia a vedere altri orizzonti e gente diversa. Quando ritorna un poco deluso a casa si accorge che anche in Italia i tempi sono cambiati. Il 68 è finito e la realtà è rimasta quella di prima. Sembra che una occasione sia stata sprecata specialmente dai giovani. A Gian Berra rimane solo la sua moto, il suo giubbotto alla Che Guevara e tanti sogni così lontani da quella provincia senza speranze.
Gian apre il suo primo studio d'arte a Valdobbiadene nel 1973. Questo sarà solo il primo tentativo di mettersi in mostra con i suoi dipinti e fare le prime esposizioni di quadri in provincia di Treviso nella regione di Venezia. La realtà dell’arte che lui trova è deprimente. La provincia ha poco altro a cui pensare oltre al calcio e alle discussioni politiche.Nel 1977 avviene la svolta: lascia Valdobbiadene per Covolo di Piave. Non è un gran salto, ma almeno è fuori da un paese che ha deciso di ammirare solo sé stesso.
Nell’inverno del 1977 fa la sua prima mostra a Treviso presso la galleria “ Lo scrigno di Val”, in Piazza del grano. E’ un grande successo che dona a Gian Berra le prime soddisfazioni concrete.
Gian organizza nel 1978 una mostra presso la galleria Brotto a Cornuda . E un successo.
Inizia da questo anno la stagione più avventurosa di Gian Berra. Conosce nel 1978 Vincenzo Martinazzo, un collezionista con il cuore gonfio di una autentica passione per l’Arte. Lo chiamano tutti “Ciccio” e lui accoglie Gian Berra nella sua galleria di Montebelluna. Negli anni seguenti Gian Berra organizza parecchie mostre tra cui rammento quelle nella sala di “Ca’ de Ricchi” a Treviso nel 1979 e nel 1980. E’ in quell’anno che Gian mette su famiglia e decide di fare un altro grande salto.
Nel 1981 lui apre uno studio a Trento, in piazza S. Maria Maggiore. Non sarà solo uno studio, ma anche un posto dove incontrarsi con artisti amici. Gian Berra inviterà l’amico pittore Donadel Bruno di Pieve di Soligo (TV) nell’autunno del 1981.
Ma la famiglia di Gian cresce e lui ritorna a casa nel 1982. Passa qualche anno di pausa e nel 1990 lui fonda l’associazione culturale “la Criola”. Questo è un altro tentativo “da artista” per scuotere l’ambiente assonnato e deprimente di un paesaggio veneto senza speranze. Gian Berra raccoglie con infinita pazienza attorno a sé ogni artista dei dintorni. Gian organizza mostre, incontri, manifestazioni e cene di poeti con gli incontri di "Poesia New Age". Poi nel 1993 inaugura il “corso pratico di pittura”. Questa è forse l’iniziativa che avrà più successo: durerà sino 2005 quasi ininterrottamente, con due corsi all’anno. Vi partecipano più di 800 allievi, molti dei quali diventeranno bravi pittori.Negli anni 80 Gian Berra organizza esposizioni delle sue opere nelle maggiori città italiane e in Germania a Dusseldorf, Monaco, Wurzburg.
Nel 1998 si specializza in Psicosintesi terapeutica ed inizia l'indagine intima sul potere dei simboli e delle immagini. Indaga la potenza nascosta delle immagini e il loro effetto occulto sull'inconscio collettivo. Le immagini hanno un loro potere che può essere gestito da una coscienza consapevole.
Organizza alcune conferenze sul tema della "Paura" spiegata come fantasma-immagine.
Nel 2001 espone per la prima volta in una mostra di sue opere totemiche, cinque totem che lui ha costruito con le sue mani. “ Totem senza tabù” è il titolo di quella esposizione e Gian inizia a scrivere i famosi “ Saggi selvaggi” che ora è possibile trovare in intenet. Lui la chiama Psicologia Sciamanica. Nel 2002 scrive il libro " Psicologia Sciamanica", una raccolta di scritti dedicati a tale tema.
Nel 2006 esce in stampa il suo primo romanzo “ Wasere, cuore di drago” dedicato all'anima ferita di Segusino, il suo paese di nascita e il libro di poesie e racconti “Caos barocco”. Sono reperibili su Lulu.com.
Nel 2008 espone per la seconda volta a Segusino e poi a Conegliano con nuove opere. Pubblica le sue ricerche sullo "Sciamanesimo della sala d'aspetto" come funzione necessaria in un periodo storico come il nostro in cui gli "assoluti" tradizionali tramontano annegati nella globalizzazione. Finalmente è tornato un Caos salutare? Gian Berra frequenta le periferie di ogni città o piccolo paese e scopre prospettive vitali che dormono da secoli.
Che sia giunta l'ora di richiamarle?
gianberra@hotmail.com