Uscito il 18 luglio su Corsera.
Per Hamas e per Gaza i tunnel sono tutto. Alimentano la striscia con qualsiasi tipo di merce, servono alle Brigate al Qassam e agli altri gruppi per tentare sortite altrimenti impossibili. Nei periodi buoni, il movimento palestinese è arrivato a investire il 30-40 per cento del suo bilancio nella realizzazione delle gallerie sotterranee che collegano Gaza alla cittadina egiziana di Rafah, giusto dall’altra parte del confine meridionale. E in qualche caso ne hanno costruite alcune sofisticate per cogliere di sorpresa gli israeliani. Come nel 2006, quando il soldato Shalit fu catturato da un commando sbucato da sottoterra.
Le talpe palestinesi sono costantemente al lavoro e si ripartiscono i compiti. Un’unità speciale, coordinata per molto tempo da Ahmed Randur, si è dedicata alla preparazione di tunnel “militari”. Uno di questi è stato scoperto ad ottobre. Era lungo 2 chilometri e mezzo, scavato ad una profondità di 20 metri, usciva vicino al kibbutz Ein Hashlosha. Per realizzarlo hanno usato 800 tonnellate di cemento e speso alcuni milioni di dollari. Inoltre i palestinesi sarebbero anche riusciti a disturbare i sensori piazzati per segnalare attività sotterranee. Uno sforzo non da poco legato a possibili azioni future e condotto tenendo conto delle esperienze di questi anni.
Le prime gallerie risalgono al 2000 e sono nate per aggirare il blocco israeliano. Da allora si sono sviluppate per numero e capacità. Nel 2013 si parlava di almeno 800 tunnel operativi e un anno dopo gli egiziani hanno sostenuto di aver distrutti 1370. Cifre incontrollabili. Altre “tabelle” riferiscono che sono “transitati” nelle gallerie da Rafah (Egitto) verso Gaza il 65% della farina, il 98% dello zucchero, il 100% di acciaio e cemento. Un traffico civile che si è poi mescolato a quello bellico: razzi, munizioni e altre materiale destinato alle Brigate al Qassam come alle altre fazioni.
Così è nata una vera industria, con “minatori” – paga 80-100 dollari al mese -, proprietari che affittano i tunnel e “famiglie” che si preoccupano del contrabbando pagando una tassa di passaggio alle autorità.
Contro questo mondo sotterraneo, Israele ha messo campo la propria tecnologia, ha chiesto aiuto agli Usa e sollecitato gli egiziani ad agire. Lungo il confine le hanno provate tutte: lame nel terreno, allagamenti, sismografi, cariche esplosive, trincee profonde. Una vera campagna che però non ha eliminato il problema per il semplice fatto che Gaza senza i suoi tunnel non potrà mai sopravvivere.
Guido Olimpio